Il ritorno della (vera) comunicazione politica

mercoledì, 11 gennaio 2012

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Gli italiani si erano disabituati da molti anni a una comunicazione politica efficace, giocata sul filo sottile dell’autorevolezza e dello humour. Da sola non basterà a togliere d’impiccio Mario Monti, alle prese con una situazione al limite del tragico; ma per ora lo stupore per la novità e il rispetto per la sua postura stanno proteggendolo dalla folata d’impopolarità che sarebbe stato prevedibile gli piombasse addosso. Studiamola, questa comunicazione politica della sobrietà in cui si cimenteranno nei prossimi mesi tutti i membri del gabinetto Monti, perché da essa dipenderà la loro sopravvivenza, visto che dubito abbiano da “venderci” molto più della credibilità.
Domenica scorsa, nel corso dell’ottima intervista che gli ha fatto in tv Fabio Fazio, più che sui contenuti esposti da Monti –niente di davvero nuovo- mi sono sorpreso a concentrarmi sul “come” li diceva. E ho cominciato a segnarmi sul quaderno le parole-chiave.
“Governo strano”, innanzitutto. Ripetuto in fondo con l’aggiunta: “Governo strano, le cose si fanno” (sottinteso: “e non solamente si dicono”, come dimostrato con l’aneddoto sui leader francesi increduli che la nostra riforma pensionistica sia già in vigore).
Più volte replicata la parola “disarmo”. Parlando della propria funzione come di un “periodo intercapedine”. La concessione civettuola: “Posso per un istante fare il professore?”. Gli eufemismi tanto più feroci in quanto garbati con cui prende le distanze dai predecessori che avevano una risposta pronta su ogni dossier, e pazienza se poi restava inevaso.
Il culmine dell’autocompiacimento? Monti ha potuto dire testualmente la frase “abbiamo dato prova di recuperata virtù” senza attirarsi italiche, grossolane ironie ma, semmai, fremiti d’orgoglio virginale. Cosicché in un moto di devozione gliela facevi passare liscia, al premier bocconiano, quando deprecava in terza persona il fatto che “chi gestiva la finanza è stato troppo riverito” (senti chi parla) e ci siamo beccati pure l’invito a “togliersi dalla genuflessione”.
Ormai travolti da un misto di ammirazione e di noia, nel pistolotto conclusivo fingiamo di non accorgerci della perfidia con cui Monti evoca i partiti da cui è (malvolentieri) sorretto in Parlamento: “Sento un po’ di pena per i politici che sono così trattati male in questo periodo dall’opinione pubblica…”.
Di quale genere di pena debba trattarsi, lo abbiamo intuito nella meticolosa risposta dedicata a Calderoli –con tanto di citazione dell’età dei nipotini e delle spese sostenute per alloggiarli in albergo- sul cenone di Capodanno tenuto nella foresteria di Palazzo Chigi (dove alloggia per risparmiare e lavorare di più). Un leghista sepolto nella sua medesima demagogia, perché non ha ancora registrato che il nuovo spirito dei tempi impone sobrietà non solo nei comportamenti ma anche nel linguaggio.
Per la stessa ragione Monti non può dire in pubblico quanto gode dei risultati conseguiti a Cortina d’Ampezzo dagli ispettori dell’Agenzia delle Entrate. Un bocconiano deve sempre mostrare ritegno nei confronti della politica-spettacolo. Ma gli bastano poche esibizioni di muscoli come quella per depotenziare come insulsa l’opposizione di una destra antiborghese e populista. Monti mi smentirebbe, ma considero quel blitz contro i furbacchioni del fisco come il primo vero manifesto del suo “governo strano”.
Basterà? Ne dubito, ahimè. Ma complimenti al finto naif, navigato comunicatore politico.

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