Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Il cerchio si chiude: “Che c’è da spiegare? Il mondo intero ha accusato ingiustamente mio padre di essersi scopato una ragazzina che non amavo. E l’ironia è che si tratta dello stesso mondo che ora non fa che tributare onori al fratello che si è scopato la sola ragazza che abbia mai amato”.
Alessandro Piperno porta infine a compimento la sua perversa saga della famiglia Pontecorvo. Lo fa in una scena madre, teatrale, che un quarto di secolo dopo ne riunisce i tre protagonisti superstiti –una madre e due fratelli ebrei romani- laggiù nel seminterrato della villa dell’Olgiata; dove il 13 luglio 1986 morì il luminare della medicina Leo Pontecorvo affogato in dieci centimetri d’acqua piovana, ma soprattutto nella vergogna di uno scandalo di pedofilia.
Ricorderete forse che “Il fuoco amico dei ricordi” è un’opera spezzata dall’autore in due volumi autonomi ma indissolubili. “Persecuzione”, il primo, si concludeva con la promessa-minaccia di un “continua”, ora mantenuta dalla pubblicazione di “Inseparabili”. Avviluppandoci in una commedia umana tragicomica che toglie il fiato, dalla quale Piperno non lascerà che veniamo fuori tanto facilmente. Non pago di avergli fatto crepare in malo modo il padre, che la ferrea volontà di rimozione della moglie Rachel Spizzichino aveva lasciato ammuffisse per tredici mesi in cantina come un pezzo di gorgonzola, ora l’autore si cimenta nel tormentone di Filippo e Samuel, i due fratelli Pontecorvo divenuti adulti. Inseparabili ma opposti da un destino beffardo che ne capovolge il tragitto di vita prevedibile.
Samuel, il fratello minore, finanziere in carriera, pareva destinato a ripercorrere le prestigiose orme paterne, forte oltretutto della certezza di avere perduto un genitore innocente. Ma l’azzardo del trading di cotone può giocare brutti scherzi pure a chi si muove con agilità fra banchieri e industria tessile.
Il primogenito Filippo, viceversa, s’era accomodato nella pigrizia di un matrimonio borghese con cui lenire la propria irresolutezza, quando la casualità lo proietta nello star system internazionale: il suo cartone animato “Erode e i suoi pargoli” –guarda un po’ la coincidenza di quel titolo alla vicenda familiare- sbanca i botteghini e, di più, lo trasforma in una specie di eroe mediatico idolatrato dal pubblico. Finché ci penseranno gli integralisti islamici che l’accusano di blasfemia…
La vicenda dei due orfani che s’intreccia nella primavera 2010, contemplando variazioni sul crac Lehman Brothers, incursioni dal festival di Cannes all’università Bocconi di Milano, e perfino una citazione di passaggio per il “Vanity Fair” italiano, rende spietato il loro confronto con la femminilità presidiata dalla figura incombente della madre Rachel. Meglio la nevrotica attricetta Anna, moglie di Filippo; oppure Silvia, la solida avvocatessa prossima sposa di Samuel, decisa perfino a convertirsi all’ebraismo? Dovendosi accudire il narcisismo esasperato (anche quand’è represso) degli inseparabili, quelle due compagne non basteranno di certo. Con il sesso, i maschi Pontecorvo hanno un conto aperto fin da quando l’augusto genitore provò un fatale trasporto di concupiscenza –mai consumato, sia chiaro- per la dodicenne Camilla che lo rovinerà.
Un romanzo decisamente porco, caro Piperno? Macché. Disperato come sa esserlo Philip Roth nel rivelarci la vulnerabilità del maschio contemporaneo alle prese col desiderio. Perdonerete quindi il recensore che ha il dovere di indicarvene il campionario. Dimenticato l’esordio di “Con le peggiori intenzioni”, dove il protagonista Daniel Sonnino faceva i conti con il suo feticismo. Oppressi dal marchio della pedofilia che ha ucciso Leo Pontecorvo in “Persecuzione”. Seguiamo ora i fratelli di “Inseparabili”, una generazione dopo: dal primo capitolo in cui a Filippo la moglie impone una dolorosa astinenza; fino al secondo in cui Samuele fa i conti con il supplizio dell’impotenza.
Perdonatemi ma non è finita. Nel libro occupa un ruolo imprescindibile la pratica della masturbazione –non è affatto pretestuoso che rientri perfino nella scena madre- quale forma d’amore contemporaneo in cui si cementa l’unione complice fra Samuel e la studentessa Ludovica, unico antidoto efficace all’impotenza. E se proprio l’eros dei tempi nostri deve contemplare un contatto, fra questi trentacinquenni irrisolti lo si delimita nella sbrigatività, ovvero nella reiterazione del sesso orale. Un po’ più complicato, per i circoncisi?
A questo punto ho paura di avervi portato fuori strada. Il malessere psicofisico dei protagonisti non esaurisce la trama né in camera da letto né tantomeno sulla tazza del cesso. “Inseparabili” è un romanzo godurioso, lo ammetto, ma tutt’altro che guardone. Vi ritorna con intensità narrativa la costante di Piperno, cioè lo sguardo disincantato sulla borghesia sazia e svuotata che rimane tale pure quando un suo rampollo, in questo caso Filippo, si spinge fino in Bangladesh, volontario di Medici senza Frontiere, per innamorarsi piuttosto di una dottoressa cinquantenne che del lavoro di cura fra i derelitti. Figuriamoci, neppure riescono a curare se stessi, i Pontecorvo.
Ragion per cui Alessandro Piperno dispiega tutta la sua cattiveria proprio allorquando Filippo mette a frutto la sua esperienza fra i bambini del Terzo Mondo nel cartone animato che lo renderà famoso, commuovendo il pubblico. Al fratello Samuele mette in bocca la protesta carognesca: “Come può l’individuo più egocentrico e narcisista del mondo passare per il più compassionevole?”. Nessuna solidarietà viene concessa a Filippo neppure quando gli piombano addosso le minacce di morte e lui viene beneficiato da un’ammirazione alla Roberto Saviano. Al contrario. Che il sarcasmo fulmini questo fortunato nuovo membro dell’”esclusivissimo club dei dead-man-walking-di-successo”! Vietato prendersi sul serio, nei circoli borghesi di Piperno, anche se proprio questa è la fonte cinica dell’infelicità che vi alligna.
Lo rivela senza dubbio la dedica affettuosa, forse scherzosa, ma imbarazzante, posta in esergo al romanzo: “A Filippo, mio fratello”. Là dove s’intende il fratello vero di Alessandro, cioè l’incolpevole Filippo Piperno, e non Filippo Pontecorvo. Eppure questa dedica dovrebbe pur suggerirci qualche indizio sul misterioso, navigato io narrante dell’intera saga e sui disegni che lo costellano. Attribuendo un significato programmatico all’incipit di “Inseparabili”: “Basta frequentare se stessi con assiduità per capire che, se gli altri ti somigliano, be’, allora degli altri non c’è da fidarsi”.
Sapevamo già che la scrittura di Piperno ha una marcia in più, troneggia sulla media della narrativa italiana. Mi odierà se aggiungo che il mancato boom di vendite di “Persecuzione”, contrariamente ai pronostici , ha deposto bene nel consacrarlo fra i romanzieri solidi e duraturi, piuttosto che fra gli scodellatori di bestseller. Con il seguito di “Inseparabili” ne otteniamo la riprova più convincente: quando arrivi in fondo, ti dispiace che sia finito.