Pensieri malinconici sulla Lega che non c’è più

mercoledì, 14 marzo 2012

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
La Lega Nord che si schiera apparentemente compatta in difesa del suo uomo indagato per corruzione, Davide Boni, prima assessore e adesso presidente del Consiglio regionale della Lombardia, non ci appare più come un virile apparato muscolare; bensì come un organismo anziano desensibilizzato, minato nella sua vitalità.
Lo constato non senza malinconia, perché ormai è da un quarto di secolo che mi prendo rispettosamente a pesci in faccia con la Lega. Agli avversari finisci per affezionarti. E quel Boni lì esibiva una sfrontatezza ridente, senza il detestabile cipiglio ringhioso di altre camicie verdi, quando scattava sull’attenti in tv portando la mano sul cuore, sol perché un coro intonava il “Va pensiero”. Era un colonnello felice di aver fatto carriera un passo indietro allo stato maggiore. Mi spiace vederlo confermato nel rango del funzionario chiamato a districarsi fra licenze di ipermercati e discariche, lasciando ai pezzi grossi di far guai con le banche e le infrastrutture.
Per quanto i sondaggi affermino il contrario, e cioè pronostichino un bottino elettorale consistente per la Lega ritornata all’opposizione del governo nazionale, io percepisco il contrario: l’inizio del disfacimento, la recita stanca dei dirigenti ormai né duri né puri che non riesce più a incantare il popolo dei seguaci. Dopo venticinque anni di frequentazione del potere, di cui circa un decennio trascorso dentro il governo romano, mentre al Nord si stringeva la presa sulle amministrazioni locali, è venuto il tempo di essere misurati per quel che si è portato a casa. Un partito florido grazie ai finanziamenti pubblici, investiti all’estero e in chissà quante operazioni immobiliari. Un notabilato giunto alla quarta o quinta legislatura, improbabile nella promessa di tornare ribaldo. Tanta simbologia in giro per le strade, carrocci e soli delle Alpi a gogò come feticci di un’ideologia del territorio che non si è tradotta in trasformazione né sociale né istituzionale. Infine, quando ci si è messa la recessione economica e la gente ha avvertito che il mondo stava cambiando, quei dirigenti padani sazi hanno rivelato la loro inadeguatezza. Se Berlusconi perde il tocco magico e lascia il bastone del comando, loro non sono più in grado di approfittarne. La crisi d’inadeguatezza della politica non li ha risparmiati, e la questione morale favorisce piuttosto il moltiplicarsi di rivalità locali, frazionismi elettorali, mini-scissioni. Un’emorragia.
Costretti a rimanere alleati subalterni di Formigoni nella giunta regionale lombarda, ne patiscono il progressivo disfacimento senza generare anticorpi. Al punto in cui siamo giunti, è più facile attendersi una reazione in positivo dal movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione –il cui radicamento lombardo precede il berlusconismo ed è certamente destinato a sopravvivere a Formigoni- che non dal vecchio Bossi.
La decisione con cui un politico navigato come Roberto Maroni offre tutela politica all’indagato Boni è ben comprensibile: assumendosi in toto la difesa dell’apparato leghista in un momento di estrema difficoltà, calcola di ereditarlo più agevolmente. Ma non è un caso se a divincolarsi da questa solo apparente convenienza è proprio Flavio Tosi, cioè l’unico leghista di peso impegnato direttamente nelle prossime elezioni amministrative. Tosi sa bene che l’indulgenza concessa a Boni suona a conferma della complicità nel sistema di potere dell’intero gruppo dirigente leghista, e perciò risulta letale agli occhi dell’elettorato. Nel 2012 il vecchio simbolo del Carroccio rischia di essere d’impiccio a chi cerca il consenso.

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