Draghi e il patto della discordia

giovedì, 26 aprile 2012

Crescita è l’unica parola che sembra mettere d’accordo l’Unione Europea. Oggi il governatore della Bce Mario Draghi ha lanciato un appello a favore di un Growth Compact, un nuovo patto per la crescita economica, dopo l’intesa del dicembre scorso sul consolidamento fiscale, che avrebbe dovuto risolvere la fase più acuta dell’eurocrisi. Il Fiscal Compact, imposto dal governo di Angela Merkel, si è però mostrato ben poco efficace, tanto che i valori dello spread tra le obbligazioni decennali tedesche e i titoli di Stato italiani e spagnoli sono tornati pericolosamente vicini ai livelli critici dello scorso autunno. Una soluzione diversa va dunque trovata, e almeno in questo la campagna elettorale di François Hollande ha portato un’indispensabile boccata d’ossigeno ad un’Europa in crisi di idee e di fiato. Il patto auspicato da Draghi appare però troppo vago. Il governatore della Bce parla infatti della necessità di introdurre riforme strutturali a favore della crescita, escludendo però nuovi investimenti che andrebbero a gravare sull’indebitamento complessivo dei paesi europei. L’appello di Draghi sembra essere un tentativo di conciliare le aspettative di svolta dei paesi in crisi, spompati dalle draconiane misure di risparmio, e i diktat della Bundesbank, il cui presidente Weidmann ha addirittura lodato gli alti tassi di interesse come sprone per fare le riforme impopolari per le quali manca il consenso politico. Una chiara allusione alle riforme del mercato del lavoro, che dovrebbero ridurre ancora di più i diritti dei lavoratori per far recuperare competitività alle imprese. All’Ue, e soprattutto all’Italia, servirebbe però ascoltare la voce di Romano Prodi, che ha rilasciato un’ intervista ad El Pais ripresa sul sito de Il Sole 24 Ore, nella quale auspica “un colpo di timone dell’Europa ” al fine di cambiarne la politica contro la crisi. Un momento di svolta che potrebbe coincidere con l’elezione di François Hollande a nuovo presidente della Francia, ma che andrebbe promosso anche con l’eventuale permanenza all’Eliseo di Sarkozy.

“In primo luogo, la Gemania sembra convinta di poterlo fare da sola, ignorando che noi (il resto dei paesi europei, ndr) rappresentiamo una gran parte della sua fortuna. Il resto dei paesi, a loro volta, invece di formare un fronte comune, competono tra di loro. In questo senso, la lotta tra Italia e Spagna è stata dannosa… E non solo l’Italia e la Spagna, ma anche il resto dei paesi periferici, Francia inclusa, sono sulla stessa barca: la caduta di uno trascinerebbe tutti. Partendo da questa realtà, adesso è necessario cambiare politica. E questo cambiamento, per essere efficace, non si può fare senza la Francia”. Prodi – prosegue El Pais – lancia una “frecciata” all’orgoglio francese: “Finora la Francia ha preferito dialogare in solitario con la Germania in riunioni distinte, dalle quali non è mai sorta un’alternativa francese alla politica tedesca…” Per far fronte alla pressione industriale di Cina, Giappone e Corea del Sud, l’ex presidente della Commissione europea chiede che i governi di Spagna e Italia elaborino rapidamente una strategia congiunta e la presentino al prossimo presidente francese, qualunque esso sia, il giorno dopo che avrà vinto le elezioni: “Tale operazione sarà più facile se sarà eletto un presidente diverso, anche se sono convinto che, anche se fosse Sarkozy, dopo le innumerevoli riunioni in cui non ha ottenuto niente, si sta rendendo conto che gli interessi francesi si difendono meglio da un fronte comune con Italia, Spagna e gli altri paesi europei”.

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