Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.
La lettera inviata da don Juliàn Carròn a “La Repubblica” mercoledì scorso non solo annuncia una svolta impegnativa nel movimento di Comunione e Liberazione, ma propone a tutti noi un modo più degno di confrontarsi col malaffare pubblico italiano. “Qualche pretesto dobbiamo averlo dato”, riconosce il presidente della Fraternità ciellina, se il movimento “è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che fare con quello che abbiamo incontrato”, cioè con l’esempio del fondatore don Luigi Giussani. Abituati come siamo allo scaricabarile, alle teorie della “mela marcia” o del complotto, è davvero sconcertante questa assunzione di responsabilità personale e collettiva.
“Carròn ha sofferto tanto negli ultimi anni per la deturpazione che alcune figure di spicco infliggono alla vera natura del movimento, finita in ombra”, raccontano i dirigenti ciellini a lui più vicini. Chiedono di preservare l’anonimato perché la lettera è scaturita da tre riunioni di vertice nella sede milanese di via Porpora, e li rappresenta tutti. Ma insistono sulla sofferenza del sacerdote spagnolo chiamato nel 2005 da don Luigi Giussani a succedergli alla guida di una Fraternità i cui aderenti devono (dovrebbero?) seguire “una regola essenziale di ascesi personale”.
Se in passato vari esponenti ciellini tacciavano di “moralismo” chi criticava lo stile di vita di Berlusconi, come ora le vacanze dorate di Formigoni in compagnia dei suoi faccendieri, adesso è proprio don Carròn che restituisce centralità evangelica al concetto di “testimonianza”. Guai a chi ha svilito l’insegnamento di Giussani a fare di Cl una “presenza” anche mondana, tramite “opere” concrete in campo economico e sociale. Spiega Carròn che “presenza non è sinonimo di potere o di egemonia, ma di una testimonianza, cioè di una diversità umana che nasce dal ‘potere’ di Cristo di rispondere alle esigenze inesauribili del cuore dell’uomo”.
Non poteva essere più netta la presa di distanze dagli arricchimenti spregiudicati favoriti in regione Lombardia dal presidente Formigoni, e dallo stile di vita che il Celeste ha condiviso con i suoi famigli. Quando lo vedono fotografato in vacanza nel resort di lusso dei Caraibi, i ciellini non possono fare a meno di pensare alle missioni fondate in Brasile da don Pigi Bernareggi, o al movimento popolare dei Sem Terra organizzato a San Paolo più di recente da Marcos e Cleuza Zerbini, acclamati al Meeting di Rimini. Cosa c’entrano con i vari Pierangelo Daccò e Antonio Simone, ma anche col business immobiliare di Antonio Intiglietta?
“Per il bene di Comunione e Liberazione mi auguro che il prossimo presidente della Lombardia non sia uno dei nostri”, mi confida un dirigente che fu vicinissimo a don Giussani. Rivelando che da un decennio almeno c’era chi, dall’interno, invano si opponeva al disegno politico impersonato da Formigoni e, in seguito, da Maurizio Lupi: la scommessa cioè che la forza organizzata di Cl potesse favorirli a tempo debito nella lotta per l’eredità della leadership del centrodestra italiano, dopo Berlusconi.
Certo, se il fallimento del berlusconismo non si fosse manifestato con tanta evidenza, forse questo progetto egemonico connotato a destra –a partire dalla Lombardia come “Baviera ciellina”- avrebbe continuato a sovrastare il movimento ecclesiale di Cl. Forte soprattutto del potere acquisito nelle “opere” della sanità, delle infrastrutture, delle bonifiche ambientali, della Fiera di Milano. Don Carròn sopportava ma non apprezzava. E con lui il portavoce Alberto Savorana (quante lettere ai giornali per distinguere l’azione di Cl da quella dei suoi affiliati in politica!) che sta per dare alle stampe una biografia di don Giussani; il giovane dirigente milanese della Fraternità, Davide Prosperi, succeduto al taciturno Giancarlo Cesana; i responsabili internazionali del movimento, Michele Faldi e Roberto Fontolan; il presidente della Compagnia delle Opere, Bernard Scholz; due leader storici disinteressati e amati dalla base come monsignor Francesco Ventorino e Giorgio Vittadini.
Proprio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, di recente ha pubblicato su “L’Unità” una critica delle illusioni neoliberiste in materia di Welfare, elogiando la natura no profit di un associazionismo che, nel passato, la Compagnia delle Opere sollecitava piuttosto in chiave imprenditoriale. Un altro ripensamento in corso?
La “costernazione” e l’”umiliazione” espresse da don Juliàn Carròn nella sua lettera sono sempre declinate con il “noi”, in un’assunzione collettiva di responsabilità; semmai egli rimprovera Comunione e Liberazione di non avere esercitato abbastanza la sua testimonianza nei confronti di chi si trova oggi “alla ribalta dei media”. Uno scrupolo nobile che non attenua la presa di distanze da Formigoni e dai suoi famigli ciellini, ma evita toni maramaldi di personalizzazione. Separare il grano dal loglio è operazione complicata in un movimento che ha derogato molto a lungo da tale impegno, compiacendosi, con spirito di rivincita generazionale sul detestato Sessantotto, del successo mondano che lo ha portato a strutturarsi come solida componente della società lombarda.
Gli effetti della lettera non saranno però indolori nell’ambito di Comunione e Liberazione, che sta vivendo in queste ore una lacerazione senza precedenti. Le dà voce Luigi Amicone, il direttore di “Tempi”, settimanale ciellino nella cui proprietà ha avuto un ruolo di primo piano Antonio Simone, oggi a San Vittore per lo scandalo della Fondazione Maugeri. Schierato decisamente al fianco di Formigoni, Luigi Amicone ha scritto un editoriale nel quale ignora la lettera di Carròn e denuncia chi volesse “rinnegare gli amici perché hanno sbagliato”. Protesta contro il tentativo di dividere Cl “tra buoni e cattivi”, finalizzato a “riportare il movimento in una dimensione più privata della fede religiosa”. Si augura che “i ciellini tengano duro” e, da ultimo, pare distanziarsi da Carròn raccomandando di vivere “non la dottrina ma l’umanità di don Giussani”.
Criticati ormai pure da “Il Foglio” di Giuliano Ferrara, i formigoniani si accontentano del sarcasmo del Celeste che su twitter commenta la lettera, inviata guarda caso proprio alla tanto detestata “Repubblica”, ostentando confidenza: “Carròn, le tue parole sono un formidabile aiuto per purificarci e ripartire. Grazie don Juliàn”. Ripartire? Comunione e Liberazione non ha certo intenzione di ripartire da lui, nè dal suo Pirellone.
Di fronte a trentamila affiliati, aprendo gli esercizi spirituali alla Fiera di Rimini, il successore di don Giussani ha espressamente citato il motto evangelico: “A che scopo guadagnare il mondo intero se perdi te stesso?”. La purificazione di Formigoni non è certo pratica che possa risolversi nel chiuso di un confessionale, a questo punto. Cielle non lo respinge come uomo peccatore, ma lo ha solennemente privato del sostegno politico di cui ha goduto fino a ieri.
Più esplicito e diretto fu l’Arcivescovo di Milano, Cardinale Angelo Scola il 28 gennaio scorso: “Mi dicono che siamo nati entrambi a Lecco, abbiamo militato entrambi in Comunione e Liberazione, siamo stati amici per tanto tempo. Sarà mai possibile che Scola non c’entri niente con Formigoni? No, non c’entra niente”.
Poche ore prima, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, i due erano seduti l’uno di fianco all’altro in prima fila e Formigoni sussurrò all’Arcivescovo: “Usciamo insieme?”. I vicini notarono la fretta con cui Scola abbandonò poco dopo, in splendida solitudine, l’augusto consesso.
Comunione e Liberazione è una vicenda controversa ma imprescindibile del cristianesimo contemporaneo. Di certo sopravvivrà al berlusconismo; anche nella sua variante Formigoni.
La sofferenza di Comunione e Liberazione
giovedì, 3 maggio 2012
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