Lo scudetto della nostra follia

mercoledì, 9 maggio 2012

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.

Strepitavamo in motorino ritornando da San Siro dopo aver scucito lo scudetto tricolore dalle maglie del Milan, rifilandogli quattro pappine nel derby, quand’ecco incrociamo le prime auto con bandiere e clacson. Io e Giacomo salutiamo con la complicità dei tifosi prima di trasalire: “Ma quelle bandiere non sono nerazzurre, sono bianconere!”.
Juventini in festa nel centro di Milano, roba da non credere. In corso Buenos Aires riuscivano quasi a formare un corteo, anche se le foto di piazza Duomo per fortuna denunciano la loro minorità numerica in una metropoli ambrosiana che aveva appena finito di vivere il suo regolamento di conti calcistico.
Io che a Torino ci ho vissuto quasi dieci anni e a causa di ciò mi ritrovo un primogenito Giuseppe juventino –compensato da Davide e Giacomo interisti come me, potendo contare sulla benevola neutralità di Rebecca e Marta- ne ho visti troppi di scudetti bianconeri festeggiati in piazza San Carlo. Il rituale dell’esultanza pallonara rappresenta forse l’unica circostanza in cui il capoluogo piemontese deroga dalla sua proverbiale compostezza, rivelando una meravigliosa sua anima meridionale. Figuratevi poi adesso che a impersonarla non è più l’astuzia luciferina di un Luciano Moggi, bensì il pianto generoso di un Antonio Conte.
Sarà per via del mio Giuseppe, ma non riesco a detestarla questa Juventus passata dal bagno di umiltà della serie B prima di ritornare vittoriosa. Nonostante il suo presidente Andrea Agnelli, chissà perché, faccia di tutto per camuffarla da squadra arrogante qual non è più. Sopporto perfino la sua pretesa insulsa di conteggiare suoi degli scudetti palesemente vinti con la frode –non lasciamoci imprigionare dal passato!- trattandosi pur sempre del male minore, per un interista, rispetto a un secondo scudetto consecutivo dei cugini milanisti.
Lo so che in articoli di giornale come questo, a consultivo del campionato di calcio, sarebbe richiesto un minimo di ecumenismo, perché ci sono lettrici e lettori che la pensano diversamente da te. Concederò allora che Ibrahimovic giganteggiava a San Siro e ci faceva tremare ogni volta che toccava la palla. Lo apprezzo talmente da essermi illuso che tirasse davvero fuori apposta il rigore concessogli immeritatamente dall’arbitro Rizzoli; ma non sarebbe stato lui. Abbiamo provato in quel momento un acuto senso d’ingiustizia che veniva a sommarsi a un’annata penosa dell’Inter. Poi il ribaltamento finale ci ha concesso la dose minima di gioia che andiamo cercando sugli spalti (in un campionato schifoso, abbiamo pur sempre fatto nostri tutti e sei i punti in palio nei derby), e pazienza se ciò comportava un regalo alla Juventus: ci resta l’illusione di poter ricominciare l’anno prossimo niente meno che da un Andrea Stramaccioni, promosso sul campo a Pep Guardiola nerazzurro.
Ah, già, dimenticavo la spruzzata di ecumenismo obbligatoria: dite pure che l’Udinese continua a meritarsi ammirazione generale; aggiungiamo che il Napoli quando vince vince bene e mette allegria a tutti col casino che fanno i suoi tifosi; e il Parma di Giovinco fa impressione (maledetti, colpa vostra se non andiamo in Champions); e pure quel Siena, però; e l’indomabile Atalanta…
Ora basta. Lo so che avrei dovuto parlarvi di elezioni e recessione, ma una serata di calcio così bella, romanzesca, a me mi manda in pappa il cervello. Senza neanche badare al rispetto della lingua italiana.

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