Penati, l’autocritica mancata del Pd

giovedì, 10 maggio 2012

Le indagini della magistratura monzese per corruzione, concussione e finanziamento illecito sul “sistema Sesto San Giovanni” non hanno ancora portato al rinvio a giudizio del principale indagato, Filippo Penati. Ma sono gia’ piu’ che sufficienti a delineare la concezione praticata da questo uomo-chiave del Pd lombardo e nazionale del rapporto fra politica e affari. Sia pure con somme relativamente piccole, al finanziamento della sua fondazione personale “Fare Metropoli” partecipavano manager, banchieri, faccendieri e imprenditori a prescondere dalla condivisione ideale; solo per convenienza ambientale e collusione trasversale. E’ di ieri la notizia che fra gli indagati per un finanziamento rientra pure il piu’ spregiudicato dei banchieri politici dell’era berlusconiana, Massimo Ponzellini (uno che partecipava ai vertici leghisti con Tremonti, poi faceva sapere in giro delle sue cene con Prodi). Pagava una “fiche” per tenersi buono anche Penati, e lo sciagurato gli strizzava l’occhiolino. Meno sorprendente e’ che a finanziarlo, ora indagati, ci fossero anche il faccendiere dalemiano per eccellenza Roberto De Santis e l’imprenditore Enrico Intini, entrambi pugliesi che guarda caso hanno scoperto di avere grandi interessi in quel di Sesto San Giovanni al fianco di Penati.
Il Pd nazionale non ha mai fatto un discorso di verita’ su questo “sottobosco” (uso non a caso il titolo dell’ottima inchiesta di Claudio Gatti e Ferruccio Sansa). Bersani non ha mai spiegato cosa facesse Penati a capo della sua segreteria. E quest’ultimo non e’ piu’ giustificabile nel suo prolungato silenzio.

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