Ciocca, una critica al governo

mercoledì, 23 maggio 2012

Il Manifesto di oggi ha pubblicato un interessante editoriale di Pierluigi Ciocca di critica alla politica economica del governo Monti, del quale riportiamo i passaggi più significativi. Pierluigi Ciocca è stato vice direttore generale della Banca d’Italia dal 1995 al 2006. In questa veste ha ricoperto incarichi nelle sedi economiche e finanziarie internazionali presso la UE, l’OCSE, il FMI e Financial Stability Forum, istituito dai Ministri e Governatori del G-7, di cui ha fatto parte dal 1999 al 2006. Membro della Società italiana degli economisti e Direttore della Rivista di Storia Economica (fondata da Luigi Einaudi), nel 2008 è stato eletto Socio Corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Pierluigi Ciocca è inoltre insieme a Filippo Satta il direttore del sito “Aperta Contrada”

Secondo Ciocca il quadro economico italiano potrebbe peggiorare nei prossimi mesi, arrivando ad una contrazione del Pil di ben il 3%, che produrrebbe un drammatico aumento della disoccupazione

L’economia italiana non accenna a risolvere i gravi problemi seguiti alla drammatica crisi della lira del 1992. Il Pil del 2011 è risultato di cinque punti percentuali inferiore a quello del 2007, e ancor più al prodotto potenziale. Il governo Monti sconta una caduta produttiva dell’1,2% quest’anno, seguita da una modesta ripresa (0,4 %) l’anno prossimo. L’Fmi prevede per l’Italia esiti peggiori: -1,9 e -0,3% nei due anni. Ma il calo di fiducia, il taglio pro ciclico di quasi quattro punti di Pil del disavanzo pubblico rispetto al 2011, l’inflazione che erode i redditi fissi, la restrizione creditizia, il ristagno europeo, la incapacità competitiva inducono a non escludere una caduta del Pil del 3% nel 2012 e ancora dell’1% nel 2013. Ciò significherebbe mezzo milione di posti di lavoro in meno all’avvio del 2014.

Dopo aver aspramente attaccato gli errori commessi in passato da politici ed imprenditori negli ultimi decenni, l’ex vice presidente di Banca d’Italia critica la manovra del governo Monti

Il governo attuale ha commesso errori sia nella impostazione sia nella presentazione della sua politica economica. Nell’ultimo semestre il tasso reale d’interesse sui titoli di Stato ha solo lambito il 4 per cento, livello inferiore ai picchi sperimentati nelle crisi, ben più gravi, del 1980, del 1992, del 1995(…). Eppure il governo ha ripetutamente dichiarato di temere una catastrofe finanziaria imminente, assimilabile al dissesto della Grecia. Ha quindi immediatamente aumentato le imposte sui tartassati impossibilitati a evadere. Ha tagliato, in modo percepito come permanente, redditi e pensioni, anche ai più bassi livelli. Lo ha fatto per riequilibrare i conti pubblici, che restano da riequilibrare. Ma la sua azione è scaduta nella logica dei due tempi: fiscalità subito, crescita, poi. Non è stata sin dall’inizio incentrata sul risparmio nelle spese pubbliche superflue, sul sostegno alla produttività, sul rilancio della domanda effettiva. Sotto il vincolo del pareggio di bilancio nel 2013, secondo il governo non vi sarebbe molto margine per abbassare la spesa corrente, aumentare quella in conto capitale, ridurre le tasse. Si è così smarrito il controllo delle aspettative, divenute cupamente pessimistiche. La recessione, già in atto dall’estate del 2011, si è acuita.

Ciocca illustra infine un’altra politica economica, basata principalmente su una riforma del diritto dell’economia che stimoli le imprese all’innovazione, eliminando le protezioni e le scorciatoie delle quali hanno goduto in questi venti anni di II Repubblica. Una riscrittura del diritto economico che si concentra sulle aziende e non sul mercato del lavoro, perché è con più concorrenza che si può ottenere l’aumento della produttività necessario a far ripartire l’economia italiana. Pierluigi Ciocca cita esplicitamente Schumpeter, economista richiamato recentemente sulle colonne del Financial Times da Phillipe Aghion, il principale consigliere economico di Franços Hollande.

Una diversa politica economica è possibile, lungo tre direttrici: mutare la composizione del bilancio pubblico, riscrivere il diritto dell’economia, imporre la concorrenza. In finanza pubblica bisogna frenare le spese correnti fino a mettere i conti in sicurezza e fare spazio nel bilancio a minore tassazione e a maggiori investimenti in infrastrutture, preziose anche per la produttività. Il progresso di lungo periodo della produttività dev’essere favorito, oltre che da potenziate infrastrutture fisiche, da una vasta riforma del diritto e delle istituzioni dell’economia. Più che il diritto del lavoro, la riforma dovrebbe interessare altri blocchi dell’ordinamento giuridico: societario, fallimentare, processuale, amministrativo, del risparmio. Sul piano culturale, la riforma dovrebbe fondarsi su una visione d’assieme dell’intero ordinamento dell’economia e su criteri di teoria più eclettici e realistici di quelli che può offrire la law and economics anglosassone, di impianto strettamente neoclassico. L’ulteriore fronte per il recupero della produttività e per il ritorno su un sentiero di crescita è rappresentato da una decisa promozione della concorrenza. Alle imprese vanno precluse scorciatoie al profitto come quelle di cui hanno goduto dal 1992. Il cambio debole, la spesa pubblica larga, i salari bloccati, un’azione antitrust poco incisiva sono state le vie facili che hanno consentito fino a pochi anni fa utili tali da rendere superflua la ricerca della produttività. Anche qui, sul piano culturale, occorrerebbe muovere da una nozione di concorrenza diversa da quella sinora invalsa in Europa, e quindi in Italia. Deve affermarsi una concezione schumpeteriana, non statica ma dinamica, che valorizzi la competizione – anche fra pochi – attraverso le innovazioni, responsabilizzi al massimo l’impresa, la sottragga alla dipendenza da ogni protezione. In una economia di mercato capitalistica della produttività rispondono in ultima analisi le imprese, non i governi. È essenziale che le imprese italiane si dimostrino di nuovo capaci di innovazione e progresso tecnico.Sapranno Cultura, Istituzioni e Politica corrispondere a questa vera e propria rifondazione economica del Paese? Si può solo ribadire, sulla scorta della ricerca teorica, econometrica e storica più aggiornata, che l’Italia economicamente decadrà, se tale apporto dovesse continuare a mancare.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.