Siamo ancora il paese delle stragi (impunite)

mercoledì, 23 maggio 2012

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Scrivo la mattina del lunedì terremotato in cui deve ricominciare la scuola dappertutto, anche a Brindisi, per poi vivere insieme, a Mesagne, lo straziante funerale della sedicenne Melissa. I giornali riportano la convinzione di un attentato per nulla paragonabile agli “attentatuni” che vent’anni fa in Sicilia lasciarono sul terreno undici morti, decapitando la giustizia antimafia di Falcone e Borsellino. Gli inquirenti avranno le loro buone ragioni se suggeriscono ai media l’ipotesi del gesto criminale isolato; anche se devo rilevare che si distingue l’eccezione prudente del procuratore Cataldo Motta, il giudice più esperto della zona brindisina, restio a minimizzare con tanta fretta.
Io non ci credo. Non ci credo che siano solo coincidenze la scelta di quella data e di quel luogo per lanciare un messaggio all’Italia che sta vivendo una difficilissima transizione, e di nuovo avverte l’incognita del vuoto di potere, mentre le organizzazioni criminali vedono sfarinarsi i riferimenti con cui dialogavano nel Palazzo.
E’ stato un pazzo isolato, perché solo un pazzo isolato può mirare alla strage delle ragazze adolescenti? Perché, a Tolosa e a Utoya non s’era forse già perpetrato, due volte nel giro di pochi mesi, l’assalto stragista alla gioventù innocente? Si dice che l’obiettivo dell’Istituto professionale “Francesca Morvillo Falcone” sarebbe insensato perfino nella logica di un’organizzazione criminale. Come se nella storia d’Italia non ci fossero già stati una bomba insensata nascosta in una banca e un’altra bomba insensata nella sala d’aspetto di una stazione ferroviaria. E come se non fossero già stati sciolti nell’acido un bambino e una giovane donna, da sapienti organizzazioni. E come se la ferocia non si manifestasse con regolarità, decennio dopo decennio, quale componente essenziale di una nazione italiana solo all’apparenza ilare e giocosa.
No, io non ci credo alle coincidenze quando il messaggio è così sinistramente nitido. Anche se verrà fuori il nome legato a quell’identikit registrato dalla telecamera: certe strutture agenti a metà strada fra la deviazione di funzioni istituzionali e il crimine vero e proprio, già in passato hanno saputo reclutare ai loro fini dei balordi, più o meno consapevoli. Sono abbastanza vecchio da ricordarmi l’anarchico Gianfranco Bertoli che nel maggio 1973 lanciò una bomba a mano di fabbricazione israeliana (aveva soggiornato in kibbutz) davanti alla Questura di Milano, uccidendo quattro persone e ferendone quarantacinque, lui disse per vendicare il suo compagno Giuseppe Pinelli. Poi venne fuori che aveva lavorato per i servizi segreti e, molti anni dopo, il suo nome comparve negli elenchi dell’organizzazione paramilitare atlantica Gladio.
Viviamo un’incognita pressoché totale su quale possa essere la classe dirigente del nostro prossimo futuro. Piegata dalla crisi economica e disincantata dalle malefatte della politica, sempre più gente diserta le urne scegliendo l’astensionismo o la protesta generica. Nessuno è in grado di prevedere quali protagonisti l’anno prossimo si contenderanno il governo del paese. E’ in questo spazio vuoto che forze oscure, già protagoniste di una strategia della tensione che purtroppo ha fatto dell’Italia il paese delle stragi impunite, lanciano il loro avvertimento: nessuno provi a insidiare il nostro predominio, i nostri territori sempre più estesi al sud come al nord.
Vedo un pericolo serio per la nostra democrazia. Tutti dobbiamo reagire in sua difesa.

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