Formigoni non fa rima con dimissioni

mercoledì, 30 maggio 2012

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.

Gentile direttore,
le scrivo per informare i lettori del suo giornale e della rubrica di Lerner (e lo stesso dott. Lerner) che il presidente Formigoni, a proposito delle referenze su Nicole Minetti, ha parlato del colloquio avuto con don Verzé molto tempo prima della sua scomparsa. La prova è l’Ansa del 2 dicembre 2011 che le allego (ma il presidente Formigoni ne aveva parlato anche prima). Per questo, inviterei il dott. Lerner a non ripetere più in alcuna sede quanto da lui scritto nello scorso numero di Vanity.
Cordialmente,

Gaia Carretta (Portavoce Formigoni)
Con scrupolo degno di miglior causa, Formigoni ci rammenta che non appena esploso lo scandalo egli cercò di giustificare l’assenso dato alla candidatura di Nicole Minetti nel suo listino regionale (con elezione garantita) accampando le rassicurazioni di don Verzè. Ancora vivo. Gli brucerebbe limitarsi a riconoscere che subì la volontà di Berlusconi, ovvero un diktat impossibile da discutere anche per un Celeste come lui. Da bravo maramaldo a scoppio ritardato, Formigoni ha dichiarato a “Vanity” che ora auspicherebbe le dimissioni della Minetti (“certo un bel gesto aiuterebbe…”), ottenendo in risposta un bel rifiuto dell’interessata.
Prendiamolo in parola: “Certo un bel gesto aiuterebbe”. Perché Formigoni non dovrebbe applicare a sé medesimo la sollecitazione rivolta alla consigliera del suo listino? Da un paio di mesi egli va proclamando a destra e a manca, seppur cambiando versione di frequente e senza mai esibire un estratto conto, che lui non ha mai ricevuto favori dai faccendieri Pierangelo Daccò e Antonio Simone. Mai una vacanza pagata. Mai un viaggio a scrocco.
Quando però la magistratura entra in possesso di contratti fasulli e giustificativi di spesa per centinaia di migliaia di euro, con cui si dimostrano gli enormi benefici economici goduti da Formigoni, e lo stesso Daccò precisa che si trattava di regalie mai rimborsate –oplà!- con un guizzo il nostro si divincola e rovescia l’argomento. Il suo tema non è più: mi dimetto se dimostrate che ho ricevuto dei favori dai faccendieri arricchitisi con le consulenze in Regione Lombardia. Ora lo trasforma in: mi dimetto se dimostrate che i suddetti faccendieri hanno ricevuto dei favori grazie a me.
Che meravigliosa faccia tosta. Formigoni sa che Daccò e Simone spadroneggiavano al Pirellone fra assessori, direttori e sottosegretari; ottenevano consulenze private per decine di milioni di euro grazie alla confidenza dimostrata col sottopotere lombardo che a lui si rifaceva. Ma ancora sfida i giudici e l’opinione pubblica, di cui offende l’intelligenza: dimostratelo, se ne siete capaci, che i funzionari e i politici miei sottoposti corrispondessero alla volontà del sottoscritto, quando favorivano i miei generosi compagni di vacanze. Non si trattasse di una mossa disperata, potremmo paragonare tale arzigogolo all’ostentazione di potere tipica di un Padrino: dove mai troverete una traccia, valida come prova in Tribunale, degli ordini trasmessi ai picciotti?
Ora non dica che lo accuso di mafia, il Formigoni. Sto solo dandogli dello sfrontato, oltre che dello scroccone. Egli sa che i soldi pubblici erogati con discrezionalità assoluta dal “suo” Pirellone sono alla base dell’arricchimento illecito dei “suoi” famigli. Però continua a paragonarsi ai colleghi Errani e Vendola, in cerca di comprimari nella vergogna. S’illude ancora che le bugie possano essere dimenticate e che la sua arroganza possa essere scambiata per forza.
Nicole Minetti trova in Roberto Formigoni il perfetto cattivo maestro. Perché non dovrebbe seguirne l’esempio? Lo dice anche la rima: Formigoni non dà le dimissioni.

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