Peccato quel silenzio del Papa tra la folla

mercoledì, 6 giugno 2012

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.

Nella sua visita pastorale a Milano, Benedetto XVI non ha fatto il minimo accenno alla faida di potere che sta avvelenando i palazzi vaticani. L’unico messaggio implicito recato ai fedeli è stato il presentarsi loro con al fianco il cardinale Tarcisio Bertone, il suo collaboratore più alto in grado che, nella Chiesa del terzo millennio, reca ancora l’anacronistico titolo di Segretario di Stato. Cioè primo ministro di una potenza temporale, l’uomo degli apparati terreni di una gerarchia curiale per sua natura distante dalla finalità spirituale del cristianesimo.

Non sottovaluto né l’imponenza del raduno mondiale delle famiglie cattoliche, né lo sforzo papale di venire incontro al loro disagio, in particolare a quello dei coniugi separati e divorziati. Ma non posso tacere la mia delusione: mai avrei pensato che il Papa facesse finta di nulla, ignorando il degrado che opprime la Santa Sede da cui proveniva. Quando l’ho visto passarmi vicino nella platea della Scala, venerdì sera, al meraviglioso concerto dedicatogli da Daniel Barenboim con l’esecuzione della Nona sinfonia di Beethoven, ho percepito la commovente fragilità del vecchio Benedetto XVI. Più che timore reverenziale incuteva sentimenti premurosi di umana solidarietà, quasi che la pompa magna del cerimoniale non fosse da sola in grado di preservarlo nella purezza adamantina che pure nessuno, neanche il volteggiare dei Corvi intorno a lui, ha modo di smentire.

Ho letto con crescente interesse il libro-scoop di Gianluigi Nuzzi (“Sua Santità”, editore Chiarelettere), allibito per la ferocia rivelata di tanti notabili curiali addentro negli intrighi dell’ultima corte medievale d’Europa. Eppure, nella volgarità dei riferimenti ostili, nel culto pagano del potere, nel denaro gestito senza trasparenza, nelle mire predatorie sulla politica italiana, mai e poi mai si coglie neanche una minima incrinatura dell’onorabilità personale di papa Ratzinger. Da ingenuo profano di faccende ecclesiastiche, ho perfino immaginato che al Papa potesse non dispiacere la rivelazione di questo bubbone scandaloso. Disinfettarlo e guarire una struttura portante della Chiesa di Roma qual è la sua curia vaticana, ne implicherebbe una profondissima riforma e , più precisamente, un drastico ridimensionamento. Fa impressione che a mezzo secolo esatto dal Concilio Vaticano II nel quale si manifestò la collegialità innovativa dei vescovi, risulti oggi così forte, concentrata e torbida la restaurazione del potere della Curia, cioè dell’apparato.

Perché Ratzinger non fa tesoro della sua fragilità? Perché non ha invocato la compassione e l’aiuto di quelle centinaia di migliaia di fedeli accorsi a incontrarlo con l’animo sgomento per il cattivo spettacolo offerto dalla loro Chiesa? Non dubitando della sua onestà intellettuale, temo che a muoverlo sia lo stesso principio teologico che traspare nelle diatribe poco commendevoli raccontate da Nuzzi nel suo libro. Temo cioè che nell’accezione di Benedetto XVI sanzionare o rimuovere le figure che platealmente screditano la sua Chiesa venga considerato inopportuno per l’enfasi, l’importanza eccessiva che ciò darebbe loro rispetto a un’idea di assoluta santità, a prescindere, della Chiesa. Un po’ come dire: il Papa non si occupa di questioni minori come quelle spifferate dai Corvi, le considera bazzecole. Finora ne ha fatto solo una faccenda giudiziaria di legalità canonica violata. Possibile non rendersi conto che a risultarne lesa non è la sua maestà, per fortuna umile, ma la stessa possibilità che davvero la Chiesa riesca a parlare al cuore degli uomini e delle donne contemporanei?

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