Quel “bel gesto” che aspettiamo dal Celeste

domenica, 24 giugno 2012

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.
Visibilmente alterato e prigioniero della sua medesima arroganza, ieri Roberto Formigoni si è cimentato in un vaniloquio che ricorda le dichiarazioni di Mohammed Al Sahaf, ministro portavoce di Saddam Hussein, nella Bagdad del 2003 invasa dalle truppe nemiche: «Non c’è nessun infedele in città». «I soldati americani vanno incontro al suicidio », aggiunse il ministro. E la performance gli valse l’appellativo di “Alì il comico”.
Allo stesso modo, l’evidenza dei fatti inchioda già da mesi Formigoni. Suoi intimi amici faccendieri hanno profittato della confidenza col presidente della Regione Lombardia per assicurare a Fondazioni private l’assegnazione discrezionale di ingenti finanziamenti pubblici, traendone un enorme guadagno personale. E lo hanno ripagato con vacanze di lusso, viaggi su jet privati, yachts a disposizione, raduni conviviali al Meeting di Rimini, nonché la cessione a prezzo stracciato di una villa in Costa Smeralda intestata a un suo famiglio. Ne consegue un’indagine giudiziaria per corruzione, cui si aggiunge l’ipotesi di un finanziamento illecito per mezzo milione di euro relativo alla campagna elettorale 2010.
Bisognava solo aspettare la conclusione degli interrogatori di Pierangelo Daccò, Antonio Simone e degli altri indagati per articolare il quadro di una corruttela in cui sono evidenti sia il dare sia l’avere: un sistema di potere politico e clientelare lubrificato da forti somme di denaro, sulle spalle della sanità lombarda che ogni anno stanzia quasi un miliardo per “funzioni non coperte da tariffe predefinite”.
Inchiodato dalle rivelazioni di un giornalista del “Corriere della Sera” che lui aveva liquidato come «triste, sfigato e malinconico», Formigoni è partito lancia in resta contro “Repubblica-Pravda” e “Il Fatto-Izvestia”, colpevoli di essere giornali di regime solo perché non si sono accontentati delle sue versioni menzognere, più volte modificate e contraddette. Di nuovo ieri ha smentito i propositi con cui subordinava al ritrovarsi indagato le dimissioni sollecitate da più parti: «La Lombardia ha un presidente limpido come acqua di fonte, non sottoposto a indagini e che sta guidando il governo regionale in modo innovativo», era il suo proclama. La nuova versione è diventata: «Io non mi dimetto perché le cose che mi sono contestate sono insussistenti».
Insussistenti? Le accuse di corruzione e finanziamento illecito confermano che l’inchiesta sulla sanità lombarda non riguarda solo «un regolamento di conti fra privati » come minimizzava Formigoni, fingendo di ignorare che i suoi amici si contendevano fondi pubblici concessi dalla Regione con margini di discrezionalità appositamente estesi da leggi e regolamenti compiacenti, con il tramite di funzionari a lui fedelissimi. Le indagini cui sono sottoposti altri presidenti di Regione, da Formigoni richiamate per giustificare la sua resistenza in carica, non sono neanche lontanamente paragonabili per gravità: la magistratura sta scoperchiando meccanismi centrali nel funzionamento della Regione Lombardia, con danni all’erario per decine di milioni di euro.
Sua è la funzione di dominus in questo sistema che senza Formigoni non sussisterebbe e che lo vede primeggiare in funzione della propria carica istituzionale; per assolvere alla quale non basta il consenso elettorale ottenuto due anni fa, essendo venuti meno i requisiti di disinteresse personale.
È questa una valutazione di opportunità che Formigoni ha di recente applicato a vari colleghi inquisiti della sua maggioranza, ma che rifiuta di applicare a se stesso, rivelando una concezione assai elastica del garantismo.
Basti ricordare le parole con cui commentò il 10 aprile scorso le dimissioni dal Consiglio regionale di Renzo Bossi: «Una scelta giusta, opportuna di fronte a un quadro accusatorio tutto da confermare ma che comunque designa e disegna una situazione veramente grave. È bene che siano arrivate in maniera così tempestiva queste dimissioni». E le sue?
Una settimana dopo Formigoni affidava a Twitter il suo giudizio favorevole alle dimissioni del presidente del Consiglio regionale, Davide Boni: «Bravo Davide, bel gesto ». Non vale anche per lui?
Sempre in quei giorni Formigoni fu interrogato sulla presenza di Nicole Minetti fra i consiglieri della sua maggioranza. Risposta: «Le dimissioni sono personali, certo un bel gesto aiuterebbe». Vale per la Minetti, il bel gesto, ma non per il suo presidente?
Di fronte alla palese impossibilità che Formigoni continui a esercitare la sua funzione pubblica, il centrodestra lombardo e nazionale è chiamato a sciogliere nei prossimi giorni complessi nodi politici. Potrà ancora far finta di nulla la Lega di Maroni o ritirerà la fiducia a Formigoni, andando al voto anticipato sotto la reggenza del suo vicepresidente Andrea Gibelli? A sua volta il Pdl sarà disposto a cedere il governo della Lombardia a un leghista, magari in cambio della riconferma dell’alleanza col Carroccio alle prossime elezioni politiche? Trattative riservate sono già freneticamente in corso, e il tema finirà al centro del congresso federale della Lega indetto per la fine della prossima settimana. Giunti a questo grado di disfacimento, una “cessione” della Lombardia alla Lega in cambio del rilancio di una coalizione populista potrebbe apparire a Berlusconi il male minore. L’unione di due debolezze.
Di certo i vaniloqui del Formigoni indagato seminano lo sconcerto fra i cittadini lombardi di ogni credo, a cominciare dai militanti di Comunione e Liberazione che hanno solo fretta di liberarsene. Come urlava il Celeste ieri di fronte ai giornalisti allibiti, «vivere nel mondo non è giocare alla lippa».

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