Bossi se ne mangia dieci di Maroni. Pure nel giorno della resa ha voluto ricordargli che la Lega è sua, e se gliela consegna a malincuore come nell’apologo di Re Salomone e delle due madri che si contendono un figlio, lo fa solo per amore della creatura da lui generata. Al suo cospetto, il nuovo segretario che ha parlato il triplo dicendo un decimo, pareva un modesto burocrate. Bossi non sa neanche dove stia di casa la separazione fra il partito e la sua persona, per questo non considera rubati i soldi pubblici usati per la famiglia. Semmai ha lanciato l’accusa più dura: come mai chi disponeva di relazioni dei servizi segreti (cioè il ministro degli Interni, tale Roberto Maroni) non l’ha avvertito, se il tesoriere leghista risultava legato alla ‘ndrangheta?
Non ha ceduto di un millimetro neanche il giorno per lui più difficile, a dispetto della menomazione che gli rendeva difficile l’eloquio s’è fatto capire benissimo anche da chi non voleva capire. Ha minacciato una scissione impossibile, ha protestato contro lo statuto approvato in fretta e furia con dentro delle fregature a lui riservate, se n’è sceso dal palco con l’ultima parola troncata che era un inequivocabile: “purtroppo”. Non ci parlo a tu per tu ormai da molti anni. L’ho lealmente criticato per un quarto di secolo di fila. Ma oggi lo saluto con rispetto.
Onore al Bossi furioso
domenica, 1 luglio 2012
Si parla di: Bossi e Re Salomone