Aria di guerra in Medioriente

mercoledì, 18 luglio 2012

Il pesante riarmo dell’esercito statunitense stazionato nel Golfo Persico è un ulteriore segnale dell’elettricità che regna nella regione. Negli scorsi giorni la portaerei più attrezzata della flotta americana ha sparato ad un’imbarcazione indiana, colpevole di aver ignorato lo stop. Un episodio che testimonia l’enorme tensione sul Golfo, provocando una rottura anche nella tradizionale amicizia che lega gli Usa all’India, mentre il Wall Street Journal ha annunciato la costruzione di uno scudo antimissile per proteggere la più grande base dell’esercito a stelle e strisce stazionata nell’area. Nell’Al Udeid Air Base, in Qatar, ci sono otto mila uomini, e come ulteriore protezione sarà inviata anche una nuova portaerei nel Golfo, la John C. Stennis, così da assicurare una presenza costante di almeno due colossi marini. Tutto questo mentre Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno costruito o riattivato  oleodotti per evitare il Golfo. Riad ha spostato un quarto del suo petrolio verso il Mar Rosso, mentre gli Emirati Arabi hanno costruito una nuova pipeline che da Abu Dhabi arriva a Fujairah, un terminal petrolifero ben oltre lo stretto di Hormu. Mosse di sfida all’Iran, che continua a minacciare la chiusura dello stretto di Ormuz, dove passa circa un terzo del petrolio mondiale. L’obiettivo degli Stati Uniti è costringere l’Iran alla resa sul suo programma atomico. Gli Usa non vogliono rinunciare alla loro supremazia regionale, ed inoltre non vogliono far perdere peso ai loro alleati sauditi. Lo scontro tra due dei paesi più influenti dell’area mediorientale, Iran ed appunto Arabia Saudita, si palesa anche sul nome del Golfo; i primi lo chiamano Persico, il secondo Arabo.La sindrome da accerchiamento di Teheran spiega sia la sua insistenza nel programma nucleare, e anche il suo appoggio al regime di Assad in Siria. A Damasco i sunniti sono maggioritari  ma al momento all’opposizione, e l’Iran teme che una Siria senza Assad possa allearsi con i suoi rivali religiosi. Senza contare il crescente attivismo turco nell’area, dopo la fine del “sogno” europeo. Ecco perché, come concludono vari media internazionali, nel Medioriente sembra proprio che sia arrivato il momento che precede un conflitto.

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