Silvio e Nicole, matrimonio riparatore

mercoledì, 18 luglio 2012

Questo articolo e’ uscito su “Vanity Fair”.

Mentre nella vicina Francia il governo vara provvedimenti contro i clienti delle prostitute e introduce il matrimonio gay, con tanto di adozione consentita della prole, la politica italiana balbetta e ammutolisce, disabituata com’è a misurarsi con scelte che riguardano la vita, la felicità, il futuro dei suoi concittadini. Dovrei parlarvi della mia amica Rosy Bindi che, al contrario, prendendo terribilmente sul serio i dilemmi morali posti dall’evoluzione storica del concetto di famiglia, fino a soffrire le rotture che essa impone dei codici vigenti, giunge a contraddire sé stessa e la sua innata trasgressività personale di donna libera, mai sottomessa ai luoghi comuni. Non a caso insultata per questo. Lo farò presto perché sono convinto che se un uomo religioso come Barack Obama si pronuncia in favore del matrimonio e delle adozioni omosessuali, anche la spiritualità della Bindi possa comprendere un tale passaggio.

Ma nel frattempo debbo occuparmi di un altro minuscolo balbettio, il semplice monosillabo “sì”, che la politica italiana ha dedicato a un’altra donna pubblica della quale ci siamo abituati a scrutare il privato: Nicole Minetti. “Sì”, rispose lo sciagurato Angelino Alfano, nient’altro che un imbarazzato “sì”, all’intervistatrice Maria Latella che gli chiedeva domenica scorsa se la Minetti dovesse lasciare il seggio di consigliere regionale lombardo del Pdl.

La Minetti liquidata con un monosillabo? E’ evidente come tutto l’indicibile della sua vicenda che si vorrebbe sbrigare alla chetichella con le dimissioni  –e sbizzarritevi pure sul doppio senso della parola “liquidazione” riferita a Nicole Minetti- spiega perfettamente l’impossibilità della politica italiana a misurarsi con i grandi temi della sessualità e dei codici familiari, trattati invece dai leader di altre nazioni.

Siamo un paese in cui il padrone di un partito può annunciare il capriccio di cambiargli il nome così, zac, nell’intervista a un quotidiano popolare straniero. Come dire: “Pdl mi ha stufato, ora si porta di nuovo la moda vintage, torno a Forza Italia, chi mi può dire niente?”. Si permette di farlo in un’intervista perché nessuno gli chiederà conto dell’oscenità di un  simile metodo cui siamo assuefatti; e anche perché fa comodo un domani poter smentire o fingere di aver dimenticato la decisione presa, qualora fosse necessario rimangiarsela.

Mi soffermo quindi sul “sì” di Alfano alle dimissioni della Minetti per rilevarne la medesima natura: stiamo parlando di un uomo che si pretende leader politico e che ha già fatto il ministro della Giustizia; un tizio che pareva doversi candidare alla guida del governo italiano. Fra i requisiti minimi di personale credibilità pubblica non era forse ovvio dover considerare un altro monosillabo, “no”, espresso per tempo alla candidatura di Nicole Minetti nel listino Formigoni alla regione Lombardia? Cosa ci voleva a dire per tempo quel semplice “no”, di fronte a una candidatura scandalosa perpetrata nel massimo della pubblicità?

Pur in evidente assenza di amore, il nome di Nicole Minetti resterà legato da vincolo indissolubile a quello di Silvio Berlusconi. A maggior ragione dopo questa maldestra ingiunzione alla giovane donna reclutata, sfruttata, beneficiata, e che ora ci si illude di cancellare. In quanto portavoce di un partito conservatore e tradizionalista, Angelino Alfano per coerenza una sola richiesta avrebbe dovuto abbinare a quel “sì” alle dimissioni della Minetti, per nobilitarlo: che si addivenga immantinente al matrimonio riparatore tra l’anziano casanova fedifrago e la giovine da lui violata.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.