Confronto con Bisin: il liberismo è di sinistra?

giovedì, 2 agosto 2012

Cosa serve all’Italia per risolvere la crisi che ci ha portato al rischio della bancarotta ed ad una situazione nella quale un giovane su tre è senza lavoro ? Un gruppo di economisti  ha compilato un manifesto, Fermare il declino, al quale hanno aderito numerosi manager, accademici e personalità della società civile. Con uno di loro, il professor Alberto Bisin, che insegna alla New York University, è stato tra i fondatore del sito di analisi economica NoisefromAmerika e collabora come editorialista con il quotidiano la Repubblica, è nato un cordiale dibattito su Facebook che poi abbiamo voluto approfondire qui sul blog di Gad Lerner. Il tema della nostra discussione, quello che a mio avviso è il punto più incisivo di Fermare il Declino, è se in Italia sia giusto tagliare la spesa pubblica di sei punti percentuali di Pil al fine di ridurre di cinque punti la pressione fiscale.

Le critiche che faccio al manifesto “Fermare il declino” firmato anche dal professor Alberto Bisin con il quale ho il piacere di confrontarmi si basano su due considerazioni. La prima è se sia efficace la loro ricetta per combattere l’attuale crisi, sopratutto il secondo punto del manifesto, dove si enuncia l’obiettivo di tagliare la spesa pubblica per sei punti percentuali di Pil. La seconda è se invece una simile policy sia condivisibile sul piano valoriale per una forza progressista, socialdemocratica, liberal, di centrosinistra o come si preferisce chiamare il campo politico che punta sull’uguaglianza e la giustizia sociale. Sintetizzando concetti base che Bisin conosce molto meglio di me, i principali impieghi delle risorse generate dal settore privato sono l’indebitamento privato e il disavanzo pubblico.

Secondo la teoria dell’offerta, c’è un equilibrio tra la capacità del settore privato di accumulare risorse e di investirle. Quando invece questo equilibrio è assente, si genera un deficit nelle partite correnti, la situazione attuale all’interno dell’eurozona. In una recessione patrimoniale ( o anche in altre situazioni, ma concentriamoci sui problemi di questo momento) c’è un’incapacità del settore privato, che deve smaltire debito, di investire risorse. Inoltre, l’attuale situazione è caratterizzata da una quasi paradigmatica trappola della liquidità, con gli agenti economici che preferiscono addirittura perdere soldi per investirli in lidi sicuri , come nel caso dei rendimenti negativi dei bond giudicati affidabili, a prescindere dall’indebitamento degli stati, oppure il boom di depositi “parcheggiati” nella Bce nonostante tassi di interesse bassissimi. Siamo in quella situazione, tipica delle recessioni, dove il tasso di interesse naturale è inferiore a quello reale di mercato, dunque per i privati non conviene investire, come da teoria di Knut Wicksell. In queste situazioni la politica monetaria è scarsamente efficace, e rimane solo la politica fiscale per poter stimolare l’economia. Ridurre le tasse per tagliare spesa pubblica è però poco conveniente data la situazione attuale di bassa remunerazione degli investimenti. Ecco perché gli agenti economici preferiranno “parcheggiare” i loro soldi piuttosto che investirli. In questo momento ridurre le tasse vorrebbe dire sostanzialmente solo aprire buchi di bilancio, che dovrebbero essere coperti da nuovi tagli. E’ altresì vero che l’Italia, visto quanto è elevato il suo debito pubblico, non può implementare politiche di spesa, anche perché a differenza di altri paesi come la Germania non può sfruttare il costo reale del debito, negativo per i tedeschi così come gli americani.

Da buona lezione keynesiana, sarebbe questo il momento migliore per utilizzare la leva pubblica per stimolare la crescita, e bisognerebbe trovare un altro strumento, come l’Europa, piuttosto che affidarsi a teorie davvero poco adatte alla situazione attuale. Affidarsi invece al dogma del contenimento della macchina statale al fine di ridurre il peso fiscale assomiglia molto alla famosa fata della fiducia, che dovrebbe stimolare la ripresa riportando appunto fiducia negli investitori privati, ma che stranamente non arriva mai. Infine, nello specifico, il manifesto controfirmato da Bisin ha l’onestà di ammettere che per ridurre in modo significato il peso fiscale bisogna tagliare nella sanità e nella scuola. In un momento di significativa contrazione dei consumi dei cittadini, rendere più cara la spesa dei privati per servizi fondamentali dalla domanda pressoché anelastica significa sottrarre ulteriore risorse alla domanda aggregata. Il taglio prefigurato è infatti molto consistente. Si tratta di ben sei punti percentuali di ricchezza nazionale, poco meno dell’intera quota del nostro bilancio destinata alla sanità, e più di quanto l’Italia spende in istruzione. Una simile riduzione della spesa pubblica non solo avrebbe deleteri effetti macroeconomici, ma sarebbe quasi impossibile da realizzare, vista la durezza delle misure proposte. Nessuna forza di centrosinistra europea, neppure la tanto mal citata Agenda 2010 di Schroeder, ha mai introdotto riforme che hanno compresso così tanto la spesa pubblica. Solo la Thatcher riuscì a farlo, ma penso che nessuna persona vagamente di centrosinistra possa prendere una simile politica a suo modello, specie se si valuta dove è finita la Gran Bretagna ora, dopo la fine della crescita legata al boom della finanza globale. La vera questione diventa appunto come crescere e coniugare l’incremento della ricchezza nazionale con una maggiore uguaglianza e una diffusa giustizia sociale. Tagliare sei punti di Pil di spesa pubblica non porta certo alla realizzazione di questi valori, ed è questo, oltre ai miei dubbi sull’efficacia economica, che mi fa credere che un eventuale partito ispirato a quei valori sia più un danno che un vantaggio per il nostro paese.

Ecco invece la risposta alla mia critica del professor Alberto Bisin.

Vorrei innanzitutto ringraziare Andrea Mollica e Gad Lerner per l’ospitalità e la cordialità, merce rara nella discussioni economiche di questi tempi. La questione del dibattito riguarda le tesi del manifesto “Fermare il Declino”, che e’ circolato in questi giorni e che io ho sottoscritto, ed in particolar modo se sia davvero desiderabile un taglio sostanziale alla spesa pubblica (almeno il 6% dice il manifesto) e al rapporto debito-Pil (da riportare sotto il 100%).
Io ne sono convinto e cercherò’ qui di esporre sinteticamente le ragioni di tale convinzione.

Il settore pubblico in Italia è dell’ordine di grandezza di quelli francese e tedesco e poco più piccolo di quelli dei paesi nordici considerati culla della socialdemocrazia. Purtroppo la sua qualità ed efficienza è drammaticamente inferiore, da qualunque aspetto lo si voglia osservare: i test Pisa sulla scuola, i tempi medi della giustizia civile, varie misure di qualità della sanità, e così via. Nessuna analisi economica giustificherà mai una enorme spesa pubblica quando essa sia così inefficiente. I fondi a supporto della spesa pubblica sono ottenuti a mezzo di tassazione di per se necessariamente distorsiva (le tasse sul reddito da lavoro tendono a disincentivare il l’offerta di lavoro, quelle sui capitali tendono a disincentivare il risparmio) e quindi la raccolta non e’ un neutro passaggio da una tasca all’altra ma comporta invece un costo per l’economia nel suo complesso. Raccogliere e gettare alle ortiche non e’ mai desiderabile.

E’ importante notare che quelle teorie economiche che, semplificando rozzamente, giustificano spesa pubblica inefficiente (le buche di Keynes, per esempio) lo fanno solo con riguardo a spese anti-cicliche, in recessione. Le argomentazioni di Andrea Mollica sono una articolata rappresentazione di questa generale visione. Ma qualunque cosa si pensi di quelle teorie, il punto cruciale a mio modo di vedere ben espresso nel manifesto, è che per quanto oggi l’Italia sia in recessione, i problemi del nostro paese con la spesa pubblica non hanno nulla a che fare con il ciclo e la recessione: il paese sta gettando soldi alle ortiche (o facendo buche) non dal 2008, ma da 40 anni almeno. Nessuna teoria keynesiana che non sia parodia di se stessa può giustificare questa politica economica.

Anche accettando le ragioni da me esposte, si potrebbe contro-argomentare che la soluzione non stia nello spendere meno, ma nello spendere meglio. Possibile, ma non ci siamo mai riusciti. Perchè? Il discorso qui diventa complesso (e non tutti i suoi elementi sono chiari nella mia mente), ma il sistema istituzionale che il paese si è dato nel dopoguerra evidentemente conteneva i germi della sua dissoluzione in una macchina per la produzione di rendite e debito. Forse anche alcuni tratti culturali che caratterizzano il nostro paese (e lo distinguono da tedeschi e scandinavi; ma come la mettiamo coi francesi?) hanno contribuito. Ma in questo momento è inutile e poco fruttuoso (al di fuori della ricerca accademica) procedere per questa strada. Si realizzi che spendere meglio non ci è stato possibile, non ci è possibile, e non ci resta che spendere meno. (Tra parentesi, a spendere meno non ci abbiamo mai provato: nel dopoguerra abbiamo visto un susseguirsi di governi corporativisti – la DC e poi le varie altre soluzioni governative con i Socialisti – governi di centro sinistra che hanno al massimo tenuto i conti sotto controllo, senza mai pensare a tagliare – e i vari governi Berlusconi che sotto una peraltro sottile coltre liberale sono ritornati alle politiche di espansione del debito dei socialisti di Craxi.)

Infine, una parola sulla politica e delle domande che pongo a voi: cosa c’è di destra in questi ragionamenti? Davvero, io non l’ho mai capito e non lo capisco. Perchè essere di sinistra deve necessariamente schiacciarci contro il muro della spesa pubblica che, nei fatti (non nelle intenzioni, lo so, ma dopo 40 anni anche i fatti un po’ conteranno) è inefficiente e clientelare? Perchè essere di sinistra ci porta a schierarci con le rendite (non quelle finanziare, capisco, ma sempre rendite sono)?

Alberto lancia domande al quale presto anche Gad darà risposte, visto che su questo tema il dibattito ci accompagnerà ancora a lungo. Da parte mia, tengo davvero a ringraziare il professor Bisin per la cordialità e l’intelligenza dimostrata.

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