La guerra di Weidmann a Mario Draghi

lunedì, 27 agosto 2012

Lo scontro tra Mario Draghi e la Bundesbank è ormai aperto, un conflitto su quale dovrà essere il futuro dell’Europa. L’edizione di questa settimana di Der Spiegel ospita una lunga intervista al presidente della Bundesbank Jens Weidmann, al quale è dedicata la copertina del settimanale più venduto in Europa. “La rivolta della Bundesbank” è il titolo di Der Spiegel, e leggendo le parole di Weidmann si capisce quanto sia profonda la distanza tra l’impostazione enunciata da Draghi e la posizione della banca centrale più importante del sistema della Bce. Per Weidmann il tetto anti spread sponsorizzato dal presidente dell’Eurotower, e richiesto a gran voce dai governi italiani e spagnoli con il sostegno aperto di Hollande, si avvicina troppo ad un finanziamento diretto agli stati. “Una simile mutualizzazione del debito può avvenire solo con il voto dei parlamenti”, rimarca Weidmann, che sottolinea come un simile intervento della banca centrale possa rendere gli stati dipendenti, come se fosse una droga. Un paragone durissimo, che riecheggia le critiche all’italianità “spendacciona” di Draghi che si sentono ormai continuamente dai politici tedeschi. A Der Spiegel il presidente della Buba difende la sua strategia di ormai aperto conflitto mediatico, che dura ormai da molte settimane. Weidmann non vede rischi inflazionistici tramite l’acquisto dei bond dei paesi in difficoltà, ma rimarca come una simile politica monetaria tradisca i compiti che spettano alle banche centrali, ovvero il mantenimento della stabilità dei prezzi. Le riforme devono essere la via per il recupero di competitività dei paesi in crisi di debito sovrano, e secondo Weidmann gli esempi di Irlanda e Portogallo mostrano la via da seguire. I due paesi, però, ricevono crediti dagli organismi internazionali da circa due anni, visto che ancora oggi non hanno la possibilità di tornare sui mercati obbligazionari. Angela Merkel, pur avendo appoggiato il nuovo corso della Bce, ha difeso l’intervento di Weidmann, evidenziando l’importanza della presenza della Bundesbank nel board della Bce. Un intervento che si barcamena tra il pragmatismo europeo mostrato dal suo governo, e la durezza teutonica mostrata in patria. Il bombardamento contro Draghi è infatti continuo in Germania. Negli scorsi giorni il segretario generale del partito cristiano bavarese CSU, alleato della Cdu della cancelliera, aveva definito il presidente della Bce il “falsario d’Europa”. I giornali conservatori, ma anche quelli progressisti, non lesinano interventi critici contro il nuovo corso interventista della banca centrale europea, un’offensiva politica e mediatica volta a bloccare la trasformazione della Bce. L’unione monetaria europea è stata modellata sull’esperienza, di successo, della Bundesbank e del marco, che hanno fatto della stabilità dei prezzi il caposaldo di ogni politica economica. Una banca centrale che si muove in maniera simile alla Fed americana, o più vicina all’esperienza degli altri istituti centrali europei, è ancora un’anatema in Germania. La deriva “meridionale” terrorizza l’establishment conservatore tedesco, una fobia che potrebbe avere pesanti ripercussioni sulla stabilità delle istituzioni europee. La fragilità dell’impostazione comunitaria è stata riconosciuta dallo stesso Weidmann, e negli ultimi giorni dalla cerchia della Merkel sono usciti vari piani per ristrutturare un’Unione europea sempre più disfunzionale. Il rigore non basta.

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