“Untorelli e diciannovisti”: torna il tempo che fu?

martedì, 28 agosto 2012

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Quand’ero giovane e (abbastanza) estremista, partecipai all’organizzazione di un raduno a Bologna del “movimento dei non garantiti”, fortemente critico nei confronti della politica di unita’ nazionale propugnata dal Partito comunista, desideroso di governare insieme alla Democrazia Cristiana. Enrico Berlinguer, segretario di quel partito comunista, reagi’ duramente: “Non saranno questi poveri untorelli a spiantare Bologna”, ci irrise. Aggiungendo che eravamo “diciannovisti”, cioe’ somigliavamo ai primi nuclei del fascismo nascente. La sinistra ufficiale era soprattutto indispettita dalla solidarieta’ a noi manifestata da intellettuali prestigiosi come Sartre e Foucault in Francia, Sciascia e Fortini in Italia.
Era il settembre 1977. A quel tempo Luciano Violante faceva ancora il magistrato, anche se molti lo etichettavano gia’ come “toga rossa” per via del suo impegno militante che due anni dopo lo avrebbe portato in Parlamento (per quasi trent’anni).
Scusate l’amarcord, ma e’ tristemente sintomatico che le lacerazioni drammatiche di allora fra componenti diverse della sinistra italiana, tornino a riproporsi oggi con un linguaggio quasi identico.
Nei reduci di quel partito comunista permane la convinzione di essere stati penalizzati, proprio quando stavano per conseguire la guida del Paese, da un sovversivismo falsamente di sinistra, oggettivamente plebeo e al servizio delle forze conservatrici. Di quella frattura culturale vissuta nel mondo giovanile e in vasti settori sociali orientati a sinistra, essi mantennero nel tempo un’interpretazione vittimistica. Deprecano tuttora l’anticomunismo pseudorivoluzionario che avrebbe teso loro un’imboscata proprio sul piu’ bello, producendo le violenze del partito armato, spianandoo la strada a Craxi e alla restaurazione conservatrice. Anche in seguito gliene sarebbe derivata una diffidenza costante nei confronti delle iniziative spontanee della cosiddetta societa’ civile.
Mi addolora ma non mi stupisce che quella rozza contrapposizione torni in voga oggi, con poche variazioni di linguaggio. Con paradossale rovesciamento della sua vicenda biografica, Violante accusa di “populismo giudiziario” l’arco di forze movimentiste e giornalistiche che si oppone al governo Monti e alla speciale protezione con cui lo accudisce il presidente Napolitano. Lo stesso Violante ha sovrinteso a un progetto di legge elettorale destinato a favorire intese parlamentari fra gli opposti schieramenti anche nel dopo Monti. Cio’ lo spinge a denunciare come potenzialmente eversivo chi non vede di buon occhio una tale intesa Pd-Pdl-Udc (con benevola estensione alla Lega).
Poi ci si e’ messo Bersani a etichettare come “fascista” il linguaggio (certamente greve e qualunquista) dei vari Grillo e Di Pietro. Sull'”Unita’”, che scimmiotta gli antichi fasti togliattiani, il filosofo del diritto Michele Prospero ha sostenuto che in Italia si manifesta ogni trent’anni un’ondata di antipolitica reazionaria, guarda caso allorche’ la sinistra perbene sta per andare al governo. L’elenco compilato da Prospero dei malfattori che boicottano l’ascesa prossima di Bersani a Palazzo Chigi meriterebbe solo uno sguardo ironico, non ci fossero di mezzo rancori mai sopiti, le cicatrici del passato. Ne’ giovano a una sinistra per sua natura litigiosissima la polemica aperta da Scalfari all’interno de “La Repubblica”, con “Il Fatto” che ci sguazza proponendosi come baluardo di un’intransigenza non meglio precisata.
Certe volte ritornare giovani si rivela un incubo, anziche’ una festa.

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