Massimo D’Alema ha compiuto un atto di superbia e di egoismo consentendo che i suoi sostenitori, più o meno spontaneamente non m’interessa, facessero del suo caso personale una questione politica: proprio come desiderava Matteo Renzi che gli ha teso la trappola cui Veltroni invece si è lestamente sottratto. L’errore di D’Alema è quello di voler costringere il vertice del Pd a prendere una decisione sul rinnovo o meno del suo incarico parlamentare. Anche se naturalmente punta ad altro, deputato o non deputato, cioè a restare candidato a un ministero di peso, a un incarico nella Commissione europea o a un ruolo istituzionale. Vuole cioè che gli sia riconosciuto preliminarmente, nel caso di una vittoria di Bersani alle primarie, di essere un dirigente protagonista imprescindibile del centrosinistra. Nonostante questo Partito Democratico lui l’abbia sempre disprezzato, vantandosi di rimanerne un semplice militante. Trovo sbagliato che D’Alema chieda a Bersani e alla segreteria del Pd di sbrogliare la matassa, e al posto loro respingerei al mittente la pretesa. Veltroni è stato più furbo? Non è una novità. Ma ancora una volta D’Alema si mostra prigioniero degli stereotipi sul suo conto, di cui non riesce a non compiacersi.