La destra non c’è più? Appesi a un sì o un no di Berlusconi

mercoledì, 5 dicembre 2012

Questo articolo è uscito da “Vanity Fair”.
Ma, nel frattempo, dov’è andata a cacciarsi la destra? Possibile che in un paese di forte tradizione conservatrice, qual è l’Italia, d’un colpo si sia dissolta la rappresentanza politica maggioritaria dei suoi cittadini?
La spiegazione di questo fenomeno misterioso, contrastante col primo principio della termodinamica secondo cui nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma, risiede in una persona nata nel 1936 (Berlusconi) che potrebbe ricandidarsi per la sesta volta consecutiva (1994,1996,2001,2006,2008,2013) al governo del paese. Naturalmente egli sa benissimo di avere chance di vittoria prossime allo zero; così come lo sanno i suoi collaboratori che per gratitudine, lealtà, sottomissione o altro evitano di chiedergli di farsi da parte.
Sbarazzarsi di Berlusconi per la destra italiana significa addentrarsi in un mare magnum del tutto incognito. Del resto la storia patria ci ricorda che dopo il ventennio di Mussolini alla destra italiana occorse mezzo secolo per ritrovare un capo carismatico nel quale riconoscersi maggioritaria. E così, se il popolo di sinistra può accontentarsi di elezioni primarie con all’incirca tre milioni di partecipanti per designare un leader restio al culto della personalità come Bersani, nell’altra metà del campo non è riproponibile lo stesso gioco.
Troppo facile ripetere che ci piacerebbero le primarie anche nel centrodestra, per fare pari e patta nella cittadinanza attiva della partecipazione e scegliere così democraticamente chi sfiderà Bersani nelle urne. Lo schema non è ripetibile perché implicherebbe psicoanaliticamente l’uccisione di un padre che non ha nessuna intenzione di morire.
Certo Berlusconi è alle prese con necessità prosaiche anziché col futuro dell’Italia. Teme la seconda condanna penale nel processo Ruby, particolarmente lesiva della sua reputazione. Mediaset e la Mondadori non forniscono più i dividendi necessari a mantenere un sistema cortigiano dispendiosissimo e soggetto a ricatti. Ma intende lo stesso giocarsi fino in fondo il vantaggio che gli deriva dall’assenza di alternative. Ancora non si è alzato nessuno a chiedergli con parole nette di farsi da parte rivendicando per sé la leadership di una destra. La più parte dei suoi notabili, ex ministri e collaboratori, ormai lo vivono come un impiccio e non dissimulano il fastidio. Ma senza di lui non vanno da nessuna parte.
E’ sintomatico di questa di sparizione improvvisa della destra sulla scena pubblica italiana l’incapacità di difendere efficacemente uno dei suoi portavoce più incisivi, finito agli arresti domiciliari: Alessandro Sallusti. Sappiamo che negli ultimi anni il direttore de “Il Giornale” era una presenza fissa in televisione, oltre che sulla carta stampata, perché rappresentativo del punto di vista berlusconiano molto più e meglio di tanti politici di professione. Sono gli stessi che in Parlamento lo hanno tradito usando l’arma impropria del voto segreto, mantenendo in vigore la pena sproporzionata del carcere per i giornalisti colpevoli di diffamazione. Chiamato a scontare 14 mesi di detenzione (un’ingiustizia) per un articolo falso e diffamatorio (non dimentichiamolo), Sallusti recluso ai domiciliari nell’abitazione in cui convive con Daniela Santanchè –eterna “quasi candidata” alla guida del centrodestra- è la metafora vivente di uno schieramento uscito all’improvviso di scena. Il destino beffardo vuole per giunta che a liberarlo intervenga un provvedimento di grazia presidenziale concesso dal “comunista” (secondo il linguaggio di Sallusti) Giorgio Napolitano.

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