Un saluto amichevole a Ichino che se ne va con Monti, com’è giusto

lunedì, 24 dicembre 2012

Non so se davvero Pietro Ichino abbia dato un contributo diretto alla stesura dell’Agenda Monti, come lascerebbero pensare alcuni dettagli che stanno circolando in rete. Il giornalista Paolo Ferrandi ha rivelato per primo che l’autore, o il creatore, del  file PDF del documento del presidente del Consiglio sarebbe proprio il prestigioso giuslavorista.  Se lo ha fatto, è di certo disinteressatamente: i due appartengono al medesimo ambiente, scrivono da anni sullo stesso “Corriere”, non hanno bisogno di intermediari. Viene a cadere oggi l’unica differenza significativa da Monti che Ichino considerava preziosa: il suo legame con la sinistra storica e le organizzazioni del movimento operaio. Io me lo ricordo deputato del Partito Comunista Italiano, e poi consulente della Cgil. Sempre su posizioni critiche ma umanamente sensibile al valore del lavoro manuale.

Come avrete capito provo stima personale per Pietro Ichino. Appartiene a una famiglia della borghesia milanese illuminata che, mezzo secolo fa, ospitava don Lorenzo Milani e i suoi ragazzi di Barbiana quando venivano in gita a Milano. Proprio per questo ho faticato a comprendere le scelte recenti di Ichino, il passaggio da una coerenza di pensiero a un irrigidimento esasperato -lui, il massimo teorico della flessibilità- è come se avvertisse la delusione esistenziale per il fallimento della sua relazione con la sinistra. Proprio lui, persona mite e rispettosa, l’ho visto incapace di sintonizzarsi con la sofferenza sociale degli esodati in una recente puntata dell’Infedele.

Come se Ichino impersonasse il dramma storico italiano: una borghesia non all’altezza di costruire un vero partito borghese; e incapace di tradurre le istanze di rinnovamento del mercato del lavoro in garanzie e progresso per i lavoratori dipendenti; fino a subire ostilità e minacce. L’impopolarità di Ichino fa il paio con l’impopolarità della Fornero. Sono la conseguenza di un fallimento. E’ naturale che il Partito Democratico sia oggi più di Fassina che di Ichino. E che quest’ultimo vada in lista, degnissimo capolista, con i minoritari di centro che propugnano l’Agenda Monti.

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