Più comunità solidali per contrastare l’impoverimento sociale

venerdì, 4 gennaio 2013

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
E se il 2013 si rivelasse per molti di noi come l’anno della scoperta di una nuova solidarietà collettiva? Non è un melenso proponimento di San Silvestro, quello che vi suggerisco, bensì un calcolo razionale che si basa su di un’esperienza da tutti condivisa.
Alzi la mano chi non ha almeno un amico/a o un parente che nel corso dell’anno passato ha perso il suo lavoro. Naturalmente senza contare i giovani che ormai sono a spasso, disoccupati per definizione. Con una miriade di implicazioni pratiche diverse, la domanda pratica è sempre la medesima: come dargli una mano?
Mentre l’attenzione dei mass media si concentra sulle scelte dei politici in vista delle elezioni del 24 febbraio –lista Monti sì o no, Ingroia si candida o non si candida, la Lega si allea con B o va da sola, Grillo va in tv o fa finta di non andarci, e chi più ne ha più ne metta- la maggior parte delle persone è alle prese con un cambiamento esistenziale significativo, e con scelte molto spesso inedite. Se non sei direttamente tu quello che ha perso il lavoro, come ti comporti con l’amico/a parente che mai avresti pensato, ma invece…
C’è un’urgenza pratica che nessuna ricetta politica o sindacale appare in grado oggi di fronteggiare. Gli economisti hanno un bel spiegarci che ci vorrebbe la riforma degli ammortizzatori sociali, cioè dirottare risorse pubbliche a favore di un vero sussidio di disoccupazione o magari addirittura di un reddito minimo di cittadinanza per tutti, giovani compresi. Se anche i vincitori delle prossime elezioni volessero o potessero realizzare questo programma con le poche risorse a disposizione, in ogni caso i benefici si manifesterebbero fra chissà quanti anni. E nel frattempo?
Nel frattempo, quanti anni mancano a Tizio per arrivare alla pensione? E Caio avrà risparmi da parte abbastanza per consentire al figlio di terminare l’università? E Sempronio troverà lavoretti sia pure meno di rango in confronto alla funzione che rivestiva, per riempire la giornata? Ma la liquidazione, poi, quanti anni potrà bastargli?
Sono diventate le nostre domande quotidiane. Ce le poniamo con sempre minore imbarazzo perché lo status di chi perde il lavoro ormai è diffusissimo fra noi, impossibile da nascondere come una vergogna (sì, è sbagliato, ma nei primi anni della crisi la tendenza era a nascondere per disagio o malinteso senso di colpa gli insuccessi professionali).
Giunti ormai al quinto anno consecutivo di depressione economica, coi i patatrac avvertiti sempre più vicini, ho l’impressione che ci stiamo attrezzando. Non a risolvere la crisi, magari. Ma a conviverci, senza aspettare che la politica assuma come sua priorità la ricerca di rimedi contro la sofferenza sociale e il rischio povertà. Scommetto che nel 2013, lontano dalla politica, nelle relazioni quotidiane fra le persone in difficoltà si formeranno reti di sostegno pratico inaspettate. Una riedizione contemporanea delle società di mutuo soccorso di un secolo fa.
E’ un augurio di Capodanno ma anche una previsione logica: dato che inevitabilmente aumenta la povertà, che almeno torni a fare rima con comunità.

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