L’Islanda non dovrà più rimborsare il Regno Unito ed i Paesi Bassi per il fallimento della sua banca

lunedì, 28 gennaio 2013

L’Islanda ha ottenuto oggi un’importante vittoria nella vicenda che la contrappone al Regno Unito ed ai Paesi Bassi dallo scoppio della crisi finanziaria. La Corte di Giustizia dell’Associazione Europea di Libero Scambio, l’Efta, ha infatti riconosciuto al governo di Reykjavík il diritto a non risarcire ulteriormente i cittadini britannici ed olandesi che avevano perso parte dei loro depositi nel collasso della banca Landesbanki. L’istituto finanziario islandese, uno dei maggiori dell’isola nordica, offriva tramite il proprio conto online “Icesave” alti tassi di interesse a chi depositava i propri soldi. Questa rendita, superiore a quella offerta da altre banche europee, era resa possibile dalla forte crescita dell’economia islandese nei primi anni del duemila.

Circa 230 mila cittadini britannici e poco meno di centomila olandesi diventarono così correntisti di “Icesave”, e quando Landesbanki collassò insieme all’intero sistema finanziario dell’isola, il governo islandese si trovò impossibilitato a coprire interamente le perdite subite dai conti correntisti del Regno Unito così come dei Paesi Bassi. L’Islanda si appellò alla legislazione europea, e alla propria normativa interna che l’aveva introdotta, per coprire solo una parte delle perdite. Il governo di Londra, invece, timoroso di un “bank run” con effetti sistemici disastrosi, stanziò più di tre miliardi di euro per coprire l’intero ammontare dei depositi britannici di Icesave, non solo fino ai 20 mila euro per conto corrente fissato dalla direttiva europea, ma fino a 50 mila euro. I governi olandesi e britannici si appellavano alla nuova direttiva europea, introdotta nel 2009, che prescrive una copertura massima fino a 100 mila euro di depositi.

La vicenda diventò uno scontro internazionale tra Islanda da una parte, e Regno Unito e Paesi Bassi dall’altra, che provarono a vincolare i prestiti del Fondo monetario internazionale stanziati per Reykjavík all’intera copertura dei depositi andati in fumo con il collasso di Landesbanki. Il governo islandese stipulò un accordo con il governo britannico e quello olandese per offrire un rimborso totale, ma i cittadini lo bocciarono in modo clamoroso nel 2010, con un plebiscito di no all’intesa superiore al 90%. Le diplomazie internazionali si misero all’opera, ma nonostante il successivo accordo fosse più favorevole all’Islanda, anche il secondo referendum sul caso Icesave svolto nel 2011 subì una chiara sconfitta.

La causa è dunque proseguita fino ad oggi nella Corte di Giustizia dell’Associazione Europea di Libero Scambio, l’Efta. Questa istituzione è riservata ai paesi membri del mercato unico europeo, come la stessa Islanda e la Norvegia, che però non fanno parte integrante della Ue. Il tribunale dell’Efta ha riconosciuto la legittimità della posizione di Reykjavík, che ha rimborsato i correntisti esteri nei limiti della legislazione comunitaria. Il carattere sistemico della crisi, e l’assenza di uno schema di garanzia completa dei depositi bancari a livello europeo, hanno fatto prevalere le ragioni islandesi. Regno Unito e Paesi Bassi ora dovrebbero abbandonare ulteriori azioni legali. Finora l’Islanda ha comunque versato circa il 90% dei rimborsi spettanti secondo la normativa vigente al momento del crack.

L’intera vicenda di Icesave evidenzia uno dei problemi che hanno caratterizzato la creazione dell’unione bancaria. La possibilità di avere uno schema che copra i depositi di tutti gli istituti di credito europei potrebbe diluire il credit crunch. Siccome i paesi più ricchi temono di dover pagare i fallimenti bancari altrui, e rivivere quanto successo nel caso Icesave, la creazione di un simile schema ha però subito un forte rallentamento.

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