Il Post: come funziona il modello Sicilia

mercoledì, 27 febbraio 2013

Il modello Sicilia è la carta tentata da Pierluigi Bersani per provare a formare un nuovo governo di minoranza, che collabori con il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle su singoli provvedimenti da approvare. Oggi Beppe Grillo ha già rispedito al mittente, almeno parzialmente, l’offerta fatta dal segretario democratico. Su Il Post di Luca Sofri Emanuele Menietti ha analizzato in cosa consista la collaborazione in Sicilia tra la maggioranza che sostiene Rosario Crocetta e il gruppo regionale del MoVimento 5 Stelle. Riprendiamo sul sito questo articolo.

 

 

 

Martedì 27 febbraio il segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, ha tenuto una conferenza stampa a Roma per commentare il risultato elettorale delle politiche di domenica e lunedì. Ha riconosciuto la sconfitta del proprio partito e la necessità di avere il sostegno di altri partiti per poter formare un governo. Durante il proprio discorso, Bersani ha escluso la possibilità di trovare un accordo con il Popolo della Libertà, cosa che lascia aperta una sola strada: la possibilità di ottenere il sostegno del Movimento 5 Stelle per avere i voti necessari a governare in Senato. Si è parlato di questa possibile soluzione definendola “modello Crocetta”, in riferimento a quanto accade da alcuni mesi in Sicilia, ma la strada appare molto complicata e difficile soprattutto per le posizioni del Movimento 5 Stelle, come vedremo.

Modello Crocetta
Alle elezioni parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana di ottobre 2012, organizzate in seguito alla dimissioni di Raffaele Lombardo, il candidato del Partito Democratico e dell’Unione di Centro, Rosario Crocetta, ha ottenuto 39 seggi, 18 in più del candidato di centrodestra Nello Musumeci, ma comunque insufficienti per avere una maggioranza stabile. Crocetta era nella condizione di essere arrivato al governo della Regione, legittimato dal voto diretto del candidato presidente nel complicato sistema elettorale siciliano, ma di rischiare di non potere governare nella pratica a causa della mancanza dei voti sufficienti per fare approvare i propri provvedimenti nell’Assemblea.

Nonostante questa difficoltà, negli ultimi mesi il governo “di minoranza” di Crocetta è riuscito a fare approvare alcuni provvedimenti grazie al sostegno esterno del Movimento 5 Stelle, che alle elezioni di ottobre ha ottenuto 15 seggi nell’Assemblea. Il M5S non fa parte del governo e non ha stretto accordi particolarmente vincolanti sul programma di Crocetta, ma è comunque disponibile a votare singoli provvedimenti che coincidano con quelli del proprio programma.

Funziona?
Nei primi quattro mesi della legislatura in Sicilia, Crocetta è riuscito – non senza lunghe e complicate mediazioni – a coinvolgere gli esponenti del M5S su singoli progetti, ottenendo il loro appoggio nel corso delle votazioni. Il passaggio più delicato dell’appoggio esterno è stato probabilmente quello per l’approvazione del Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef), in pratica la finanziaria regionale, alcune settimane fa. Il M5S ha fatto mancare in Assemblea più volte il numero legale per la sua approvazione, chiedendo prima a Crocetta un impegno chiaro sulla rinuncia alla costruzione di un impianto satellitare militare statunitense a Niscemi (Caltanissetta), ritenuto da alcuni potenzialmente pericoloso per la salute a causa delle emissioni di onde elettromagnetiche.

Con altre attività e pressioni, ritenute eccessive dai detrattori e molto criticate dalle opposizioni di centrodestra, il Movimento 5 Stelle ha ottenuto diversi posti nelle Commissioni regionali e la presidenza della Commissione Ambiente e Territorio, affidata a Giampiero Trizzino: un 35enne esperto di beni culturali, diritto ambientale e di fonti rinnovabili, che presiede così una delle Commissioni più importanti in Regione.

Per raccontare il modello Crocetta, sul Corriere della Sera di oggi Felice Cavallaro propone l’esempio della dura opposizione del Movimento 5 Stelle alla costruzione di un rigassificatore Enel a Porto Empedocle.

La mozione con primo firmatario il capogruppo Giancarlo Cancelleri, che alza il tiro e vorrebbe far cancellare con un colpo di penna a Crocetta tutte le autorizzazioni concesse nel 2009 da Totò Cuffaro, ritenute valide dal Tar, confermate dal Consiglio di Stato, sostenute con forza da Confindustria che ha un assessore in giunta e dal sindaco di Porto Empedocle, Lillo Firetto, un tempo funzionario Enel, adesso deputato nella stessa Assemblea nell’UdC del claudicante Casini, primo sponsor della candidatura a governatore di Crocetta, socio di portata di una giunta ormai con tanti mal di pancia interni al PD.

Malumori
Gli eletti del Movimento 5 Stelle in Sicilia sanno di potere influenzare molto la politica del governo regionale, cosa che naturalmente non piace ai partiti che sostengono direttamente Crocetta, e che vorrebbero maggiore autonomia nelle loro scelte di governo. La convivenza di questi primi mesi ha consentito al governatore di ottenere qualche risultato e di attuare parte del proprio programma, ma il modello siciliano si sta rivelando molto difficile da gestire e c’è chi mette in dubbio che Crocetta possa andare avanti a lungo con questo sistema.

“Modello meraviglioso”
Durante una improvvisata conferenza stampa all’esterno della propria villa di Nervi (Genova), martedì Beppe Grillo ha definito “meraviglioso” il modello siciliano e ha fatto intendere che un sistema simile potrà essere seguito anche a livello nazionale. Grillo ha spiegato che il Movimento 5 Stelle non è “contro il mondo” e che “se ci saranno proposte che rientrano nel nostro programma le valuteremo”. Come avviene in Sicilia, Grillo ha comunque confermato che il M5S non stringerà nessuna alleanza vincolante e che non farà quindi direttamente parte di un nuovo governo.

PD + M5S
Bersani e diversi esponenti del Partito Democratico a lui vicini, hanno fatto intendere che una possibile soluzione per avere i numeri per governare potrebbe essere quella di trovare un qualche tipo di accordo con il M5S sulla scia di quanto realizzato in questi mesi in Sicilia. Il M5S potrebbe sostenere i singoli punti di un programma di governo molto essenziale, basato principalmente su una serie di riforme chieste anche dal movimento di Grillo. Lo stesso Bersani durante la conferenza stampa ha elencato alcuni possibili punti come: riforme istituzionali, legge nuova sui partiti, moralità pubblica e privata, difesa di chi è più esposto alla crisi e un impegno (molto generico) a cambiare la politica europea. Singoli provvedimenti su questi temi potrebbero essere votati dai nuovi parlamentari del M5S, considerato che fanno parte da tempo del loro programma. C’è però un grosso ma.

L’ineludibile fiducia al Senato
A differenza della Sicilia, dove Crocetta è stato eletto direttamente ricevendo quindi di fatto una fiducia alle urne, al Parlamento nazionale è necessario che il governo ottenga la fiducia da Camera e Senato, come previsto dalla Costituzione all’articolo 94. Devono esserci una maggioranza alla Camera e una al Senato per sostenere il governo e, di fatto, consentirgli di esistere e di lavorare.

Grazie al cospicuo premio di maggioranza, il nuovo probabile governo di Bersani non dovrebbe avere alcun problema a ottenere la fiducia alla Camera. Il centrosinistra può contare su 345 deputati, sufficienti per sostenere il governo anche senza il voto dei 109 esponenti del M5S. Le cose, invece, si complicano per il Senato dove il centrosinistra ha ottenuto solamente 123 seggi, 35 in meno del numero necessario (158) per avere una maggioranza stabile. I 19 senatori eletti nella lista di Monti non sarebbero sufficienti a un governo Bersani, che arriverebbe a 142 voti e avrebbe bisogno del sostegno di almeno altri 16 senatori. E qui le cose si complicano un poco, anche per il meccanismo con cui funzionano le votazioni in Senato.

Al Senato il limite dei 158 voti può essere, infatti, ridotto nel caso in cui alcuni senatori decidano di non partecipare al voto, uscendo dall’aula. Ovviamente non può esserci un esodo in massa durante le votazioni: il regolamento stabilisce che deve comunque rimanere in aula la metà più uno dei senatori (esclusi quelli in congedo o assenti per incarichi avuti dal Senato), altrimenti manca il numero legale e la seduta deve essere rimandata. Il M5S ha 54 senatori, che potrebbero uscire dall’aula al momento della votazione per fare diminuire il limite dei 158 voti, pur mantenendo il numero legale e consentendo così a Bersani di ottenere la fiducia. Ammesso che i senatori del M5S decidano di assentarsi dall’aula “strategicamente” – cosa già improbabile – il governo avrebbe la fiducia solo se i senatori del centrodestra rimanessero in aula e non decidessero di uscire anche loro, facendo mancare il numero legale: la fiducia al governo di minoranza sarebbe appesa volta per volta al volere dei senatori di PdL e Lega. I senatori del M5S non potrebbero uscire solo in parte, per evitare che venga meno il numero legale: al Senato l’astensione (cioè restare in aula e non partecipare al voto) equivale a un voto contro.

 

Insomma, per essere sicuro di avere la fiducia, Bersani dovrebbe ottenere il voto dei senatori del M5S, che a quel punto diventerebbero almeno formalmente parte della maggioranza di governo, e non un semplice appoggio esterno per singoli provvedimenti valutati di volta in volta. Beppe Grillo ha però escluso la possibilità che il M5S voti la fiducia a un governo PD:

 

 

Sul suo blog, Grillo ha anche pubblicato un post definendo Bersani un “morto che parla” e accusandolo di avere denigrato e sminuito il suo movimento durante la campagna elettorale. Spiega che Bersani “da giorni sta importunando il M5S con proposte indecenti invece di dimettersi, come al suo posto farebbe chiunque altro”, ma che potranno comunque esserci votazioni condivise su provvedimenti puntuali: «Se Bersani vorrà proporre l’abolizione dei contributi pubblici ai partiti sin dalle ultime elezioni lo voteremo di slancio (il M5S ha rinunciato ai 100 milioni di euro che gli spettano), se metterà in calendario il reddito di cittadinanza lo voteremo con passione».

Tre scenari
Pier Luigi Bersani ha tempo fino a metà marzo, quando il nuovo Parlamento si riunirà per la prima volta, per mettere a punto una soluzione che gli consenta, almeno in linea teorica, di governare. Oltre all’ipotesi, come abbiamo visto molto difficile da praticare, di un governo di minoranza con chi vuole partecipare, fino a ora sono circolate altre due ipotesi.

Una è simile al governo di minoranza, ma guarda al Parlamento e ai singoli parlamentari, cui sarebbe presentato un programma molto circostanziato con obiettivi chiari e molto irregimentati, cosa che forse potrebbe semplificare l’ottenimento di una fiducia grazie al voto individuale dei singoli deputati e senatori.

La terza possibilità è invece più ortodossa e prevede la costituzione di un governo “di larghe intese” tra Partito Democratico e Popolo della Libertà. I due partiti dovrebbero mettere da parte i duri contrasti degli ultimi mesi di campagna elettorale e mettersi d’accordo su un programma limitato, teso in primo luogo a rifare la legge elettorale in vista di un possibile nuovo voto anticipato. Sebbene si tratti di una soluzione più classica e vicina a quella dell’ultimo anno con il governo Monti, non trova per ora grandi sostenitori né da parte del PD nè da parte del PdL. Non c’è molta fiducia, per usare un eufemismo, tra i due schieramenti e i due partiti temono di dovere concedere troppo al rispettivo avversario per mantenere in piedi un governo che farebbe perdere loro altri consensi.

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