Ma guarda, a volte anche “Il Fatto” sa essere indulgente

mercoledì, 13 marzo 2013

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Spostamenti progressivi del potere: mi ha fatto impressione constatare la premura con cui “Il Fatto” di Antonio Padellaro e Marco Travaglio ha liquidato come irrilevante la vicenda patrimoniale di Walter Vezzoli, factotum di Beppe Grillo. Niente di trascendentale, per carità. “L’Espresso” ha segnalato la costituzione da parte di Vezzoli di 13 (tredici) società capitalizzate diecimila dollari ciascuna in Costa Rica, cointestate alla sua compagna Nadereh Tadjik che è poi la sorella della moglie di Grillo. Si trattava all’epoca di un paradiso fiscale, in una società era associato un italiano processato e assolto per traffico internazionale di droga, l’ecovillaggio progettato non vide mai la luce, nessuna connessione diretta con Grillo si è evidenziata…
Questi i dati di fatto, né più né meno come li ha pubblicati “L’Espresso”. Interessante notare a firma di chi: l’inviato Vittorio Malagutti (con Andrea Palladino e Nello Trocchia), giornalista economico fra i migliori d’Italia, fino a pochi mesi fa tra le firme di punta de “Il Fatto”.
Non v’è dubbio alcuno che se fossero spuntate 13 (tredici) società in Costa Rica a nome di un fedelissimo collaboratore di un leader del Pdl o del Pd, due corsari dalla schiena dritta come Padellaro e Travaglio gliene avrebbero chiesto conto in prima pagina, senza indulgenza. Tanto più quando l’inchiesta fosse certificata Malagutti, garanzia d’indipendenza e meticolosità. Strano ma vero, il titolone di prima de “il Fatto” quel giorno suonava assai diversamente: “Grillo sotto tiro: ‘Giornalisti pagati per sputtanarci’”. E a pagina 5 il quotidiano più giustizialista d’Italia realizzava uno scoop telecomandato, essendo l’unico cui lo stesso Vezzoli s’è concesso con una dichiarazione. Racconta di aver vissuto a lungo in Costa Rica con la sua Nadereh, anche se purtroppo non ha realizzato il villaggio per cui furono costituite le 13 (tredici) società da diecimila dollari cadauna. Per la verità non spiega come mai esse risultino ancora attive, ma poco m’interessa. Mi accontento di constatare la facilità con cui può cambiare l’atteggiamento di un giornale senza padroni, nato per non guardare in faccia nessuno, quando si tratterebbe di riservare a Grillo la stessa raffica di interrogativi che certamente in analoga situazione avrebbe sparato su altri potenti.
Stavolta “Il Fatto” si accontenta di una risposta vaga e reticente. Il giornale più amato dai 5 Stelle, che ritrasmetteranno online come versione ufficiale quell’articolo indulgente, si guarda bene dal giocarsi la popolarità acquisita tra i nuovi vincenti. E pazienza se il povero Malagutti viene sommerso da centinaia di messaggi di insulti e minacce. Mentre il sito di Grillo lascia intendere che “L’Espresso” ha agito sotto dettatura del suo proprietario, lui sì potente cattivo, l’Ingegnere. Ha fatto in fretta Vittorio Malagutti a trasformarsi da paladino del giornalismo d’inchiesta (quando lavorava con Travaglio) a pennivendolo di regime (come si permette “L’Espresso” di indagare sui più stretti collaboratori di Grillo?).
Probabilmente si tratta di una vicenda minore. Poco m’interessa dove Grillo ha investito i soldi della sua attività professionale: ciò non cambierà le sorti del suo MoVimento, afflitto da eccessi di devozione e obbedienza nei suoi confronti. Ma è lo slittamento progressivo del potere che va segnalato, comprese le autocensure opportunistiche degli intransigenti che ne beneficiano.
Avete notato la scarsa attitudine a sopportare critiche rivelata da Grillo, che pure è uomo proveniente dal mondo dello spettacolo? Il suo eloquio così simile a quello del Gabibbo sarebbe facilissimo da imitare e rendere in caricatura. Ma gli stessi comici che fino a ieri si divertivano a fargli il verso, ora preferiscono soprassedere. La faccenda si fa spessa.

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