“Menar merda non è poi una mala occupazione: peccato, certo, non si fa”. Nella campagna padana di Sacconago, alle porte di Busto Arsizio, viveva un giovane contadino figlio di nessuno, battezzato col nome di Colombino dal parroco che l’aveva adottato. Di lavoro Colombino faceva lo spalamerda. Raccoglieva il letame di cascina in cascina e lo redistribuiva nelle marcite nutrendo la terra per renderla più generosa. Così preziosa era quella merda, che don Sante non disdegnava di benedirla. E pazienza se Colombino, insieme al suo meraviglioso mulo Astolfo, di quel letame sprigionassero l’afrore: ciò non gli sara’ d’impedimento a incontrare Pio IX e Mazzini e Garibaldi. Fino a diventare patrioti iniziatori del Risorgimento italiano.
Se Claudio Messora avesse letto il meraviglioso romanzo di Alessandro Mari, “Troppo umana speranza” (Feltrinelli editore), certo non avrebbe tributato a noi giornalisti questo attributo benemerito di “spalamerda”, da cui mi sento onorato. Anche nell’arte dell’insulto sarebbe meglio acculturarsi un minimo. Si legga il romanzo di Mari, gentile signor Messora, ne trarrà giovamento. Intanto noi continuiamo a spalare.