Bini Smaghi: l’austerità è colpa dei governi, non della Bce

venerdì, 19 aprile 2013

L’austerità non è una scelta dettata dalla Banca centrale europea, ma dall’incapacità dei governi di introdurre le riforme strutturali capaci di aumentare il potenziale di crescita delle loro economie. E’ la tesi centrale del nuovo libro di Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del Board esecutivo della Bce dal 2005 al 2011, che si intitola “Morire d’austerità. Democrazie europee con le spalle al muro“. Il saggio, pubblicato per i tipi de “Il Mulino”, sarà presentato martedì 23 aprile all’Ispi di Milano, con la partecipazione di Gad Lerner.

Lorenzo Bini Smaghi, attualmente visiting scholar all’università di Harvard e presidente di Snam Rete Gas, illustra la sua critica alle politiche di governi europei in un’intervista al quotidiano “La Stampa”. La cosiddetta austerità, le politiche di consolidamento fiscale imposte ai paesi europei sottoposti ai programmi di aiuti internazionali prima, e poi il rigore cristallizzato dal Fiscal Compact, il trattato dei bilanci, non è mai stata per Bini Smaghi un’imposizione della Bce. ” L’austerità come oggi la viviamo in Europa è una scelta compiuta dai governi per evitare scelte politicamente più costose, quelle di fare profonde riforme capaci di rendere più competitive le economie’. Per l’ex banchiere centrale,  ripercorrendo la crisi dell’euro passo per passo,si evidenzia come ‘il rischio di morire di austerità sia attribuibile solo all’incapacità delle istituzioni politiche di prendere decisioni al momento giusto. Al contrario, tutte le volte che la Bce ha preso misure per alleviare la crisi, ha dovuto assistere a un allentamento dell’impegno dei governi’.

Per corroborare la sua tesi Bini Smaghi sottolinea un passaggio della crisi centrale nella storia recente del nostro paese, la lettera della Banca centrale europea al governo Berlusconi. In quei mesi di tensioni sui mercati internazionali Francoforte stava comprando una mole significativa di bond italiani, e aveva chiesto al nostro esecutivo di prendere chiari impegni di riforme per continuare nella sua iniziativa di politica monetaria non convenzionale, che aveva sollevato aspre critiche in particolare dalla Bundesbank tedesca. “Se guardiamo la lettera che la Bce scrisse al governo italiano nell’agosto 2011, le riforme strutturali stanno al primo posto. La stretta al bilancio viene dopo; però in sostanza è stata realizzata soltanto quella. Poiché si era indugiato troppo, l’intervento ha dovuto essere molto doloroso. Ma la fiducia dei mercati la si sarebbe potuta riconquistare anche con meno tasse e con più riforme, ovvero liberalizzazioni, mercato del lavoro, amministrazione pubblica, giustizia. Sono state evitate perché in un primo momento sono ancora più impopolari delle tasse; ma mentre le tasse aggravano la recessione, le riforme creano i presupposti per tornare a crescere”.

Bini Smaghi interviene su un altro punto delicato della crisi italiana, ovvero la decisione del governo Monti di non sottoporsi ad un programma di aiuti dei creditori internazionali, sul modello della Grecia o degli altri paesi in eurocrisi, sottolineando come ciò sia stato un errore. “Credo sarebbe stato meglio accettare le offerte del Fondo monetario per un programma di aiuti concordato. Prima delle elezioni di febbraio ci avrebbe dato più sicurezza un accordo fra tutti i partiti sulle misure principali da prendere dopo; non ci troveremmo ora a dover temere una nuova manovra fiscale nel 2013. I nodi strutturali dell’Italia sono la bassa crescita e un eccesso di spesa pubblica: finché non li si affronta con decisione, l’umore dei mercati può sempre cambiare’.

L’economista fiorentino evidenzia inoltre come l’evocazione della rottura dell’unione monetaria sia un fattore destabilizzante, che aggrava le difficoltà della Ue così come dell’Italia. ‘La crisi dell’euro non finirà finché l’ipotesi di una sua rottura rimarrà sul tavolo. Le minacce aggravano la sfiducia. Non è credibile dire ‘state attenti che se mi suicido vi fate molto male anche voi’’. Inoltre è vano sperare che possa essere modificato il mandato della Bce, o che si possano istituire gli eurobond. “Non serve a nulla chiedere all’Europa di risolvere problemi che derivano dall’incapacità dei sistemi politici nazionali di modernizzare le economie. Negli ultimi anni l’Italia si è chiusa economicamente e culturalmente al resto del mondo, si è messa in difesa di fronte alla globalizzazione: è questa tendenza che occorre invertire. Altrimenti i problemi si aggraveranno. Ad esempio, la riforma Fornero garantirà l’equilibrio del sistema previdenziale solo se la crescita economica sarà almeno dell’1 per cento all’anno; altrimenti saranno necessari nuovi sacrifici”.

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