La mia visita a Gemonio in casa Bossi: “Maroni ha tradito”

martedì, 4 giugno 2013

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.
GEMONIO (Varese)
Il vecchio guerriero medita la rivincita circondato dai suoi ritratti a olio che tappezzano le pareti della casa di Gemonio, rievocando ben altre stagioni di gloria: Umberto adamitico con la mela in mano; crociato con l’armatura; Braveheart con lo spadone. Poi l’orologio con lui in camicia verde assieme a Gipo Farassino, la statua lignea a figura intera, piatti di ceramica, targhe di ogni misura, la foto con papa Woytjla, il Duomo di Milano con la bandiera della Lega… perfino la porta che dà sul tinello foderato di verde reca inciso sul vetro un Sole delle Alpi. Ma oggi è solo, Umberto Bossi, in mezzo ai suoi cimeli. Nella penombra, accanto a lui, non resta che la moglie Manuela: “Sarei io la guardiana del cerchio magico? Mi guardi, fatico a farmi dare retta anche in casa. A inventare sono capaci tutti, ora. Ma la scuola Bosina di Varese per cui dicono che la Lega si sarebbe svenata non mi ha mai versato un centesimo, io sono sempre stata una maestra volontaria”. E lui di rincalzo: “Sia ben chiaro, quella scuola è nata su ordine della Lega”.
Umberto Bossi indica la grande Madonna bianca dietro al divano: “Me l’ha portata da Medjugorje la moglie di Castelli, la metteremo in campagna dove Renzo alleva maiali e capre, ha imparato a fare il formaggio. La casa gliel’ha disegnata Roberto Libertà, lui s’è diplomato ragioniere. E’ bello vedere i fratelli così uniti. Ho sbagliato a portare Renzo nel consiglio regionale lombardo?…”. Lo interrompe Manuela: “Col senno di poi, è stata un’ingenuità”. “Che poi s’è dimesso per motivi da niente”, ricomincia Umberto, “così come era solo una gran balla dei nostri diffamatori che Riccardo si fosse comprato una barca”.
Tempi duri, caro Bossi. Ma sulla famiglia torneremo dopo. Prima deve fare i conti con la sua rivoluzione mancata. Dopo 25 anni come fa a crederci ancora?
“Ci credo perché la questione settentrionale non è un’invenzione e il bisogno di libertà non si può sopprimere. Certo mi fa rabbia che Maroni cancelli la Padania e si rammollisca con ‘Prima il Nord’ proprio quando era maturo il tempo di farci forza del diritto internazionale. Nell’Europa in crisi torna attuale l’indipendenza dei popoli attraverso i referendum, come in Scozia e in Catalogna. Superando la fase del federalismo. Lo faremo anche in Padania”.
Maroni dove sta portando la Lega?
“Lui non ha i nostri ideali. Quando uno tradisce una volta –e Maroni quando ruppi con Berlusconi nel 1994 gli sedeva di fianco, si opponeva- poi tradisce sempre. Si illude di diventare il plenipotenziario di Berlusconi al Nord, ma il Pdl non rinuncerà mai a presentare le sue liste in casa nostra, come fa la Cdu tedesca con la Csu in Baviera”.
Pentito di essersi sottomesso a Berlusconi?
“No perché lui è stato un moltiplicatore di consenso per noi, ci ha fatto dei favori, e poi quando hai subìto una persecuzione che si assomiglia si genera anche una specie di affetto. Ma la destra è nazionalista, l’autodeterminazione è più facile che si realizzi con la sinistra. Perciò se per l’indipendenza si deve rompere con la destra, pazienza”.
E’ più quel che ha ricevuto o quel che ha dato a Berlusconi?
“Secondo me alla fine Berlusconi ci ha alzato i voti. E se arriveremo almeno al federalismo fiscale lo dobbiamo a quell’alleanza. Certo, me lo ricordo Bersani che mi fermava lamentandosi: ‘Ma cosa ci stai a fare tu con quel miliardario!’. Intanto però la sinistra sul federalismo fiscale non ci sentiva, l’abbiamo dovuta trascinare. Però il rapporto di Maroni con Berlusconi è un’altra storia. Lui all’indipendenza non ci crede e quindi rimane sottomesso”.
In effetti sull’indipendenza Maroni non la segue di certo.
“Maroni sta distruggendo la Lega, butta fuori la gente. Quel mio colpo di genio con cui avevamo preso la guida di Veneto e Piemonte, con Zaia e Cota, di questo passo al prossimo giro ce lo sogniamo. Tosi in Veneto porta via i voti alla Lega e fa accordi con i fascisti: il suo progetto Verona non mi è mai piaciuto. In Piemonte vogliono mettere a capo del partito Gianna Gancia, la moglie di Calderoli, brava amministratrice, ma io dubito che abbia le doti per guidare il movimento”.
Calderoli a che gioco gioca?
“E’ un gran lavoratore ma ora si barcamena un po’, cosa vuole”.
A 72 anni, malato, forse dovrebbe arrendersi. Tanto più dopo quella sera delle ramazze alla Fiera di Bergamo, il 10 aprile 2012, quando si era appena dimesso da segretario e in lacrime ha chiesto scusa per i danni provocati “da chi porta il mio cognome”.
Guarda la moglie Manuela che scuote la testa: “No, quella umiliazione è stata troppo, un’ingiustizia troppo grande…”. Umberto si rianima: “Non lo rifarei mai, non ripeterei quelle parole. A Bergamo mi ci avevano trascinato in manette. E ora mi hanno tolto gli autisti e le guardie del corpo per cercare di impedirmi di andare in giro a parlare con i militanti, a dire la verità. Espulsioni, espulsioni, mandano a rotoli la mia Lega!”.
Però quando i suoi fedelissimi l’hanno implorata di fondare un partito alternativo, lei s’è rifiutato.
“Io sarei stato dell’idea di non fare nessuna battaglia, ma a furia di buttare fuori gente e tradire gli ideali della Lega la pressione su di me s’è fatta irresistibile. Devo per forza rimettermi alla guida del partito”.
Il congresso è fra un anno, Maroni ha in mano il consiglio federale. E nel frattempo?
“Venga qui tra dieci giorni e le dò la prima copia del nuovo giornale che stiamo preparando. Titolo: La lingua padana. Ricominciamo dalla nostra identità, ce n’è un bisogno enorme, e allora le assicuro che il traditore dovrà fare i conti con noi”.
Intanto però le tagliano i fondi, dicono che la Lega non può più permettersi di passarle 800 mila euro l’anno.
“Sono tutte balle, difatti nessuno è venuto ancora a dirmi nulla. La Lega a me e alla mia famiglia non ha mai dato dei soldi che non servissero per la militanza”.
La sua segretaria Nicoletta Maggi a Roma non prende lo stipendio da marzo.
“Tranquillo che la Nicoletta la pagherò io, con i miei soldi”.
Dicono che il partito si è sobbarcato le sue spese sanitarie.
Guarda di nuovo Manuela, lei allarga le braccia: “Facciamo i controlli, le analisi, e li paghiamo come tutti i cristiani”. Lui precisa: “Ho la mia mutua come tutti i parlamentari. Non ne posso più di tutte queste menzogne”.
Ci faccia capire, lo scandalo… Forse lei considerava il partito talmente una sua creatura da non fare troppe distinzioni fra bilancio della Lega e bilancio familiare. Li identificava…
“La smetta, semmai è vero il contrario. Quando la Lega è nata e magari c’era da comprare un’automobile, i soldi ce li mettevo io di tasca mia. A questo partito ho dato tutto, nessuno osi dire il contrario. Le sembra una casa di lusso, questa? Ha le pareti che vanno in rovina, ci ho anche dovuto fare dei lavori. I disonesti stanno altrove”.
Quel suo tesoriere Belsito, per esempio. Dice che lei voleva costituire una riserva di denaro all’estero nell’eventualità di fondare un nuovo partito.
“Ma va là… A Belsito i magistrati gli fanno dire quello che vogliono, ha paura. Io avevo in mano la Lega, mica avevo bisogno di un’altra cassa. Glielo ripeto, i ladri sono altrove, non si permettano”.
Personaggio ambiguo, però, Belsito.
“Si era messo al fianco di Maurizio Balocchi, il nostro tesoriere, finché è morto nel 2010 e così me lo sono ritrovato. Belsito aveva lavorato prima per quell’avvocato del Pdl… Alfredo Biondi. Chissà che giri aveva, mica era un mio uomo”.
Scusi se insisto, Bossi, ma lei ce l’ha la salute e l’energia per rimettersi a battagliare?
“Ce l’ho, ce l’ho la forza io. A me non mi ammazza nessuno, e stavolta mi hanno fatto davvero incazzare. Il capo della Lega resto io”.
Butta il toscano nel camino, si alza scuro in volto e se ne va con quei suoi piccoli passi incerti. Resto in imbarazzo ad aspettare qualche minuto il guerriero di 72 anni che fatica a parlare ma non si rassegna al tramonto. Torna indietro accompagnato da Manuela e dal figlio Roberto Libertà: “L’importante è che i miei ragazzi restano uniti, si aiutano l’un l’altro”.
Scende a fatica gli scalini per uscire con me sulla via di Gemonio, stretta e in discesa. Ricorda i bei tempi delle serate in tv, quanto si divertiva. Ricorda il nostro comune amico Guido Passalacqua. Si rivolge ancora a Manuela: “A Gipo Farassino è morta la moglie, non sta bene, devo andarlo a trovare”. Accarezza gli ornamenti floreali della casa: “Una volta qui fuori c’era sempre qualcuno a vigilare, ora può passare un pazzo e buttare una bomba in giardino. Ma se pensano di mollarmi così…”.

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