La nomenclatura Pd ha paura sia di Renzi sia di Cuperlo

sabato, 21 settembre 2013

E’ penoso che la nomenclatura del Partito democratico esibisca fino all’ultimo la sua resistenza al cambiamento, con incomprensibili trattative notturne sulle regole che riescono solo a disincentivare la partecipazione dei membri dell’Assemblea nazionale (se è vero che il numero legale è risultato traballante). Dico che le trattative sono incomprensibili, e lo confermo, ma non sono così ingenuo da non rendermi conto dell’oggetto del contendere: la nomenclatura si è rassegnata al fatto che Renzi ottenga la segreteria del partito, e anzi molti si sono già adeguati salendo sul suo carro. Ma cerca di conservare il controllo dell’apparato territoriale, a cominciare dai segretari provinciali e regionali. Miseriucce di sopravvivenza. Sormontate dal timore di una reale verifica fra iscritti e elettori sulla scelta del governo di larghe intese. Quella sì che potrebbe determinare la fine dell’esecutivo Letta in anticipo sulla tabella di marcia fissata dal Quirinale.
Mi fa piacere che Gianni Cuperlo si sia distinto dai bersaniani che dopo avere impedito la convocazione del congresso in tempi ragionevoli, prima dell’estate, ora accampano scuse per sostenere che sarebbe impossibile celebrarlo entro l’8 dicembre. Renzi ha ragione a spazientirsi, si tratta di diversivi inaccettabili. E fa onore a Cuperlo non averli cavalcati. Ma naturalmente tutta questa manfrina ha impedito di affrontare i veri nodi politici del partito, a partire dalle inchieste giudiziarie -ultime quella sull’Alta Velocità di Firenze e sul Monte dei Paschi di Siena- da cui emergono commistioni illecite fra settori d’apparato e il mondo degli affari. Su questo nodo attendiamo ancora la fine della reticenza, senza cui non si potrà parlare di vero rinnovamento.

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