Ora Grillo va a caccia dei voti della destra

venerdì, 11 ottobre 2013

Il no all’abolizione del reato di immigrazione clandestino dettato da Grillo e Casaleggio ai senatori del MoVimento 5 Stelle appare a molti osservatori come la conferma della natura populista, se non reazionaria, della formazione che ha rivoluzionato la politica italiana negli ultimi anni. Un editoriale della direttrice dell’Istituto Cattaneo Elisabetta Gualmini su “La Stampa” rimarca la coerenza delle posizioni di Grillo sull’immigrazione, che in passato erano state caratterizzate da toni ancora più virulenti di quelli letti nel post di ieri. Ciò è vero, ma rappresenta una descrizione parziale della strategia impressa dai due fondatori del MoVimento 5 Stelle, che è significativamente cambiata negli ultimi mesi, a seconda dell’interesse elettorale del momemnto La campagna elettorale del M5S, condotta in prima persone da Beppe Grillo in moltissime piazze italiane, si basava principalmente sull’ostilità al rigore ed ai pesanti tagli del governo Monti, identificati con la Merkel e la “dittatura dell’euro”. In un momento di sofferenza sociale così acuta, provocata dalla più grave crisi economica degli ultimi decenni, Grillo e Casaleggio hanno puntato sull’ostilità ai partiti che si sono succeduti al governo in questi anni, tanto il Pdl, quanto lo stesso PD.

Dopo aver beneficiato del posizionamento come unica alternativa al governo Monti o al simile, ipotetico, governo Bersani, Grillo e Casaleggio hanno deciso di scommettere sull’autodistruzione del Partito Democratico. Dalle elezioni fino alle amministrative, vinte piuttosto a sorpresa, il PD ha vissuto uno psicodramma culminato con la contemporanea giubilazione del suo leader e del suo padre fondatore, Bersani e Prodi, avvenuta durante le elezioni per il Quirinale. All’epoca Grillo aveva perfino aperto alla possibilità di governare con lo stesso PD, senza i vecchi dirigenti, previo sostegno alla candidatura di Rodotà. Un politico con un profilo chiaramente di sinistra, come lo erano quasi tutti i candidati alle “quirinarie” del M5S. I due fondatori del Movimento speravano così di raccogliere i consensi in fuga dal PD, che sarebbe dovuto collassare, un po’ come successo al Pasok in Grecia, nel prolungamento ferale dell’alleanza con il centrodestra. Ciò però non è successo, ed il ruolo di grande malato del nostro sistema politico è passato dal PD al Pdl. Le vicende giudiziarie di Berlusconi e il suo possibile disimpegno dalla politica potrebbero creare un’enorme opportunità elettorale. Ecco perché Grillo e Casaleggio ritengono che in questo momento il M5S non debba assolutamente rinunciare ai consensi che un’eventuale disgregazione del centrodestra berlusconiano potrebbe determinare.

Il Movimento 5 Stelle si è sempre profilato come una formazione distante dalla destra e dalla sinistra tradizionale del nostro paese. All’inizio il M5S è esploso caratterizzandosi su tematiche progressiste, ambiente ed acqua pubblica in primis, ma mai Grillo ha voluto sprecare l’opportunità di dialogare con gli elettori del centrodestra. L’immigrazione e le politiche sulla sicurezza sono state da sempre la chiave di questa apertura, anche se la loro strumentalizzazione, in un’ottica propagandista in stile Lega Nord, potrebbe recidere i legami con la fascia più progressista dell’elettorato M5S. Per questo motivo Grillo e Casaleggio appaiono determinati a non forzare sul punto, evitando di vincolarsi in un ambito definito dello schieramento politico italiano. I due fondatori preferiscono consolidare la loro collocazione di contrapposizione al sistema tout court. Occasionalmente i toni sono poi enfatizzati a seconda di chi occupa il ruolo di più debole del sistema politico: nella primavera 2013 era il PD, ora appare il Pdl. Più che la volontà popolare, ai due fondatori preme perseguire un interesse elettorale immediato per rafforzare una posizione di  rabbiosa alternativa che rischia la marginalità in caso di consolidamento degli schieramenti tradizionali.

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