Renzi ritorna a “destra” per spazzare via il “vecchio” PD

sabato, 2 novembre 2013

Matteo Renzi è minoranza all’interno del Partito Democratico, o è quantomeno molto lontano dalla chiara maggioranza che gli elettori gli consegneranno con ogni probabilità. I dati dei congressi provinciali hanno chiarito al sindaco di Firenze che la sua strategia inclusiva nei confronti degli iscritti è risultata perdente, almeno all’interno della macchina del PD. La correzione di rotta rispetto alle primarie era stata evidente fino a qualche settimana fa: via Zingales ed Ichino, e dentro il laburismo temperato di Gutgeld, con un manifesto che si chiamava il “rilancio parte da sinistra”. Al posto degli ex Margherita Reggi o Richetti, Renzi ha scelto come uomo chiave della sua campagna Stefano Bonaccini, segretario regionale dell’Emilia-Romagna e punto di riferimento dei giovani bersaniani. Una svolta cristallizzata dall’adesione al Partito socialista europeo, da sempre spartiacque tra la sinistra e l’anima centrista del PD. Negli ultimi dieci giorni però molto è cambiato. Il primo passo del ritorno al passato del Matteo Renzi delle primarie del 2012, quello “montiano” e moderato contro la socialdemocrazia temperata di Bersani, è stata la Leopolda. Sul palco della sua Convention sono sfilati praticamente solo imprenditori di successo, e l’intervento anti Cgil, anti pensionati, ed anti pubblico impiego del finanziere Davide Serra è stata la più netta presa di posizione contro il cuore del PD tradizionale.

Alla Leopolda Renzi ha esibito una retorica meno “rottamatrice” rispetto alle primarie, con la sfida allargata all’establishment come ha fatto all’esordio della sua campagna elettorale a Bari, ma questo in realtà è abbastanza fedele alle contraddizioni che hanno sempre caratterizzato il suo messaggio. Negli ultimi giorni, mentre i dati dei congressi locali erano sempre più deludenti, Renzi ha riabbracciato i temi, “ichiniani”, che avevano caratterizzato la sua ascesa nazionale. Sì all’azzeramento delle norme sul mercato del lavoro, ed un convinto appoggio alla riforma Fornero, rivendicata nonostante la sua impopolarità nella base del PD, quantomeno quella più legata alla base del partito. Il sindaco di Firenze ha inoltre rilanciato la riforma della giustizia, con il suo appoggio alla responsabilità civile dei magistrati, tema storicamente berlusconiano. Una svolta simboleggiata dalle contorsioni verbali di uno dei suoi uomini più fidati, Dario Nardella. Sull’Unità di inizio ottobre l’ex vice sindaco di Firenze parlava di un taglio del cuneo fiscale da concedere esclusivamente ai lavoratori. Ora invece Nardella parla di “nuova sinistra” che non deve difendere i lavoratori a tutti i costi. Una svolta a U in poche settimane necessaria per il nuovo posizionamento di Matteo Renzi. Visto che i toni più laburisti non hanno convinto il “corpaccione” del PD, ancora molto diffidente nei suoi confronti, il sindaco di Firenze ritorna al passato timoroso di perdere quel consenso nell’elettorato moderato che l’ha fatto diventare uno dei leader più apprezzati del nostro paese. La mancanza di forti avversari alle primarie non dovrebbe impedirgli la vittoria, visto il desiderio dell’elettorato del PD di affidarsi al candidato più competitivo nella sfida contro Grillo e Berlusconi. Quando Renzi sarà segretario, bisognerà capire come riuscirà a convivere con un’organizzazione in parte ostile, ma forse questo neppure interessa al sindaco di Firenze proiettato già su Palazzo Chigi.

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