Dopo la strage di Lampedusa la politica non ha fatto niente

mercoledì, 20 novembre 2013

Questo articolo è uscito su “Nigrizia”.
A un mese dal naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, rinvenuti 365 corpi senza vita a cui bisogna sommare una quantità imprecisata di dispersi, rapidamente trascorso il tempo delle lacrime, mi chiedo se qualcosa sia cambiato nella sensibilità popolare e nella coscienza dei governanti.
Difficile trovare una risposta univoca. I portavoce pubblici della sindrome da invasione, i politici che trovavano redditizio vantarsi dei respingimenti in mare, si sono azzittiti. Molto per merito di papa Francesco, difficile da criticare. Diciamo che aspettano un mutamento di clima per ricominciare il lucro sulle paure di una società invecchiata, dove la pietà è un sentimento sporadico, intermittente.
Due atti simbolici di forte impatto come la proclamazione di una giornata di lutto nazionale e l’annuncio di funerali di Stato per le vittime, sono rimasti così, un po’ in sospeso. Indicavano un riconoscimento di condivisione della sorte dei migranti oltre la barriera della nazionalità –qualcosa di davvero forte se preso alla lettera- ma le stesse autorità di governo hanno esitato nel farlo proprio davanti alla cittadinanza. Subendo una pletora di mugugni sarcastici, quando non vere e proprie accuse di ipocrisia, da parte dei giornali e delle televisioni di destra.
Neppure ha giovato l’immediata contesa politica, infarcita di accuse e di disinformazione, circa le responsabilità morali e giuridiche della strage continua nel Canale di Sicilia. La collezione di “Nigrizia”, certificando che non abbiamo mai taciuto le nostre critiche a una legislazione ideologica, discriminatoria, xenofoba in materia di immigrazione, oggi mi consente di non essere equivocato se affermo che l’obiettivo di abrogazione della Bossi-Fini è stato posto maldestramente, sull’onda dell’emozione. Quella legge del 2002, ulteriormente peggiorata prolungando i tempi di detenzione nei Cie, aggiungendo il reato di clandestinità, autorizzando respingimenti sbrigativi, rifiutando una normativa specifica per i minori, discriminando gli stranieri da numerosi benefici cui avrebbero diritto, è palesemente inadeguata. Ma lo è già nell’impianto che assume e distorce dalla precedente legge Turco-Napolitano, incardinata su meccanismi di collocamento della manodopera straniera palesemente fasulli e arbitrari.
Non si tratta quindi di chiedere al governo Letta di cancellare una singola legge (anche se l’abrogazione dell’inutile reato di clandestinità avrebbe un significato culturale importante), magari illudendosi che ciò muterebbe la situazione drammatica nel Canale di Sicilia. L’impianto stesso del nostro governo del flusso migratorio andrebbe revisionato e adeguato a norme elementari di civiltà. Mentre nell’immediato si tratta di uscire dalla logica propagandistica e velleitaria del “pattugliamento” per dare vita a un vero e proprio corridoio umanitario con traghetti, voli charter, certificazione dei richiedenti asilo.
Un mese dopo temo di dover constatare che la politica è ancora troppo impaurita per osare riforme significative.

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