Le memorie di Padoa-Schioppa a Travaglio: Napolitano sabotò Prodi per ottenere le larghe intese

giovedì, 5 dicembre 2013

Domani giovedì 6 dicembre 2013 uscirà il libro di Marco Travaglio “Viva il Re!” (Chiarelettere)dedicato a Giorgio Napolitano, il Capo di Stato che, secondo l’autore del libro, ha trasformato la nostra Repubblica in una monarchia. “Il Fatto Quotidiano” di oggi anticipa un capitolo molto interessante del volume scritto dal suo vice direttore, che contiene le memorie del compianto ministro del Tesoro del secondo governo Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa. Padoa-Schioppa, scomparso a fine 2010, ha scritto un diario sulla sua esperienza di governo, nella quale ha annotato l’opera di “sabotaggio” condotta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nei confronti del governo dell’Unione guidato da Romano Prodi. Le memorie dell’ex ministro del Tesoro sono state condivise con Marco Travaglio, anche se il vice direttore del “Fatto” ha deciso di non riportare in modo testuale per rispettare la volontà dei suoi familiari, che potrebbero pubblicarle in seguito. Il racconto di Padoa-Schioppa evidenzia numerosi episodi nei quali Napolitano, eletto presidente della Repubblica a inizio della legislatura, si sia frapposto al governo, con una costante opera di delegittimazione e talvolta pratico sabotaggio che ne ha favorito la caduta. Il governo Prodi poteva contare su una maggioranza minima al Senato, corroborata dal voto dei senatori a vita. Una situazione che non piaceva, secondo Padoa-Schioppa, a Napolitano, che più volte, in pubblico ed in privato, aveva dato ragione alle critiche di Berlusconi per un governo che non aveva i numeri “garantiti” dalla volontà popolare. Gli episodi in questo senso costanti, e l’allora ministro del Tesoro annota nel suo diario tutti i casi in cui la vita travagliata del governo Prodi sia stata ulteriormente inasprita dal Quirinale. Prima della Finanziaria 2007 Napolitano invitò a pranzo Prodi, Padoa-Schioppa ed il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, attuale inquilino di Palazzo Chigi, Enrico Letta. Il Capo dello Stato critica l’impianto della manovra, e spinge per soluzioni condivise con l’opposizione. Un monito costante, che secondo l’ex ministro dell’Economia tradisce l’impostazione politica del presidente della Repubblica, ostile alla democrazia dell’alternanza. Nel febbraio 2007 l’Unione va in crisi sulla politica estera, e Napolitano spinge Prodi a trovare un’altra maggioranza, diversa da quella con cui si è presentata alle elezioni. Follini cambia schieramento abbandonando l’Udc, e solo grazie alla creazione di una “maggioranza politica” che escluda dal calcolo i senatori a vita il presidente del Consiglio ritorna in Parlamento per riottenere la fiducia.

La crisi dell’Unione viene superata, ma il governo Prodi è sempre più in difficoltà. Padoa-Schioppa illustra a Travaglio i tanti casi in cui, su decreti legge già usciti da Palazzo Chigi, oppure in via di licenziamento, Napolitano chieda un filtro di approvazione che deborda dalle sue competenze istituzionali. Un allargamento della “moral suasion” già sperimentata da precedenti inquilini del Quirinale. Il ministro del Tesoro polemizza in privato con il presidente della Repubblica, che critica in modo aspro il ricorso alla fiducia della maggioranza di centrosinistra. Secondo Padoa-Schioppa l’unico orizzonte politico di Napolitano sono, già allora si potrebbe dire, le “larghe intese”, un’esperienza che rimanda alla “Prima Repubblica” oppure, come annota causticamente il ministro del Tesoro, all’Unione Sovietica, uno stato dove non erano i cittadini a scegliere il governo. Le interferenze di Napolitano sul governo Prodi si verificano anche sul caso Speciale; Padoa-Schioppa contesta al presidente della Repubblica di non aver censurato la ribellione del generale della Guardia di Finanza. Nella decisiva crisi di inizio 2008 Napolitano, in modo inconsueto, decide di tentare l’esperimento del governo di scopo affidato a Franco Marini, con l’obiettivo di modificare la legge elettorale. Posizioni, che, rimarca Padoa-Schioppa, favorirono Berlusconi, che voleva solo andare alle urne per sfruttare il largo vantaggio assegnatogli dai sondaggi. L’ex ministro del Tesoro descrive l’esecutivo Marini tentato da Napolitano così: “un cammello è un cavallo disegnato da un comitato”. Una metafora che esprime la forzatura del dettato costituzionale che caratterizza questa mossa del presidente della Repubblica, e che esprime, secondo Marco Travaglio, la “cultura togliattiana e giacobina, cioè ben poco democratica nel senso classico del termine, di Giorgio Napolitano”.

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