Il mio e-book su Chico Mendes, per ricordarlo 25 anni dopo

martedì, 17 dicembre 2013

Il 22 dicembre 2013 saranno passati 25 anni dall’assassinio di Chico Mendes. La Feltrinelli ripubblica come e-book l’ampio racconto da me scritto per “L’Espresso” dopo un viaggio in quella regione sperduta dell’Amazzonia. Il testo è disponibile su tutti gli store digitali. Fra i principali ricordo iBookstore di Apple (per leggerlo su iPhone/iPad), Amazon (per leggerlo su Kindle), Kobo, laFeltrinelli.it, Bookrepublic, IBS, Libreria Rizzoli… Il prezzo sarà 1,99 €. Confesso di essermi emozionato nel rileggere il resoconto di quel viaggio avventuroso e di quei luoghi incredibili.
Di seguito vi propongo l’introduzione che ho scritto un quarto di secolo dopo.

Un quarto di secolo fa, atterrando dopo oltre venti ore di volo e parecchi scali a Rio Branco, capitale dello Stato amazzonico dell’Acre, nel Brasile nord-occidentale, ero convinto di aver raggiunto una delle contrade più remote e marginali del nostro pianeta. Da poco era stato assassinato, il 22 dicembre 1988, quello che a noi europei appariva come un personaggio affascinante ma tutto sommato esotico: il sindacalista dei raccoglitori di caucciù Chico Mendes, fondatore dell’Unione dei popoli della foresta in lotta con i latifondisti che si arricchivano distruggendo a ritmi forsennati l’ultimo polmone verde di un’umanità soffocata dall’industrializzazione.
Proseguendo su piste di terra battuta fin quasi al confine del Perù, o sorvolando la foresta con l’aeroplanino improbabile di due trafficanti che mi diedero un passaggio, incontrai i personaggi straordinari, degni di un romanzo di Gabriel Garcia Marquez, che ho potuto descrivere nel reportage pubblicato su “L’Espresso”. Ve ne ripropongo oggi la lettura con il medesimo stupore, ma anche con la consapevolezza che nel quarto di secolo trascorso il mondo si è capovolto.
Chico Mendes si è trasformato in figura leggendaria, icona del commercio equo e solidale. A lui sono dedicate, anche in Italia, numerose botteghe di prodotti naturali, cooperative sociali, scuole e giardini pubblici. La sua memoria viene richiamata a indicare la possibilità di un modello di sviluppo ecosostenibile, alternativo rispetto agli squilibri fra Nord e Sud del mondo. Ricordo che mi aveva colpito, una volta giunto nel suo sperduto villaggio di Xapurì, immaginare Chico Mendes volato a Washington per rappresentare al Senato degli Stati Uniti d’America gli interessi dei seringueiros. Anche perché l’anno prima, accompagnando il mio indimenticabile maestro Alexander Langer, proprio nella capitale Usa avevo partecipato a un controvertice delle organizzazioni non governative riunite per contestare il summit della Banca mondiale: l’embrione di una rete planetaria che nei decenni a venire avrebbe dato luogo ai World Social Forum, da Porto Alegre in poi.
E’ questo, il sommovimento che sta capovolgendo il baricentro del mondo. Con l’accelerazione dovuta al collasso dell’economia occidentale e alla crescita dei paesi emergenti. Sindacalisti come Chico Mendes, che non a caso nel 1980 fu tra i fondatori del Pt (Partido dos Trabalhadores) brasiliano, sono divenuti capi di Stato e di governo in vari paesi dell’America Latina: a cominciare da Ignacio Lula da Silva. Dobbiamo loro, pur fra molte contraddizioni, processi di crescita economica che hanno migliorato le condizioni di vita di interi popoli. Ma anche l’esempio di leadership politiche degne là dove prima regnava il sopruso dei più forti. E infine la delegittimazione del pensiero unico neoliberista che ha egemonizzato troppo a lungo le istituzioni finanziarie globali.
Chico Mendes, dunque, è uno sconfitto le cui idee però si sono ramificate ben oltre la foresta in cui germogliarono.
Oggi l’America Latina non è più relegata alla periferia del mondo. Esprime potenza economica, modelli di sviluppo alternativi, originalità di culture. Non è certo un caso che l’ultimo conclave abbia eletto un Papa argentino, né che Francesco abbia subito riabilitato, sia pure con cautela, la Teologia della Liberazione.
Fu proprio nella terra di Chico Mendes che ebbi modo di rendermi conto dell’importanza di quella presenza religiosa come forma di contropotere, portatrice di speranza e di emancipazione sociale dopo secoli in cui la dottrina della Chiesa era servita a legittimare la dominazione degli sfruttatori.
Per questo voglio ricordare l’amicizia nata laggiù con il parroco di Chico Mendes: un sacerdote brianzolo, don Luigi Ceppi, coraggioso e generoso. Ormai l’Amazzonia è casa sua, tutti lo chiamano Luiz. Passò da Milano pochi mesi dopo il nostro incontro nella foresta e venne naturale a me, ebreo, chiedergli di benedire il figlio primogenito che mi era appena nato.
Anche di questo resto grato a Chico Mendes.

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