Turchia e Brasile, i paesi del boom alla prova dell’ingiustizia sociale

giovedì, 26 dicembre 2013

Come già durante la rivolta di Gezi Park alcuni mesi fa, il premier turco Erdogan ricorre all’espediente demagogico dell'”ingerenza straniera” per denigrare le proteste di piazza in corso a Istanbul. La parentopoli che ha messo in evidenza la corruzione diffusa nell’establishment e che ha già costretto alle dimissioni alcuni ministri-chiave del suo governo, non distingue certo fra laici e islamisti. Così anche la rivolta contro l’ingiustizia sociale, tanto più significativa in quanto si manifesta in un paese che sta vivendo una forte crescita economica. Lo stesso fenomeno si è concretizzato l’estate scorsa nel Brasile sotto gli occhi del mondo per i preparativi dei Mondiali di calcio: indignazione diffusa contro episodi di corruzione dell’establishment, proteste, organizzazione del conflitto sociale. Una volta si sarebbe detto, con linguaggio marxista tradizionale, che il baricentro della lotta di classe si sposta nei paesi interessati dalla più forte spinta allo sviluppo, confermandosi positivo fattore di sviluppo.

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