Dopo il tardivo e maldestro siluramento della candidatura di Francesca Barraciu a presidente della regione Sardegna, causata dalle indagini sui rimborsi spese della precedente legislatura, il Partito democratico si ritrova a brancolare nel buio quando mancano meno di due mesi dal voto.
Leggo su “Repubblica” che qualcuno ipotizza il nome di Arturo Parisi nella parte del tappabuchi dell’ultim’ora. Trovo un po’ vile questo ricorso al padre nobile fuori tempo massimo, così come ho trovato ingrata e stolta l’esclusione di Parisi dalla direzione nazionale del Pd. L’amicizia che a lui mi lega, stavolta si traduce nel consiglio di tenere a bada la sua generosità e di rispondere con un bel “no grazie”.
Troverei ben più responsabile, anche se comporta un arretramento, che oggi il Pd sardo riconosca la validità della candidatura autonoma della scrittrice Michela Murgia, già impegnata da mesi in una campagna elettorale di puntuale contestazione degli scempi compiuti dalla giunta di destra presieduta da Ugo Castellacci. In un mio recente viaggio a Cagliari ho avuto modo di constatare quanto il progetto di Michela Murgia sia snobbato e sottovalutato dall’establishment locale, nel mentre vede crescere i suoi consensi elettorali. Sarebbe un atto di modestia, ma anche di lungimiranza, se giunti a questo punto il Pd stipulasse un accordo con la Murgia per evitare un bis di Castellacci e del suo piano di cementificazione e svendita della Sardegna a interessi esterni all’isola.
La presidenza Murgia segnerebbe una svolta profonda, renderebbe protagonista non solo una donna di grande prestigio culturale, ma anche una generazione nuova rispetto a una classe dirigente che ha fallito. Forse Renzi dovrebbe sentirci, da questo orecchio. O preferisce arrivare terzo alle elezioni di febbraio pur di tenere insieme ciò che resta di un partito lacerato dai gruppi di potere interni?