Il Jobs Act elettorale che divide Renzi da Letta

giovedì, 9 gennaio 2014

Quest’oggi Matteo Renzi ed Enrico Letta si sarebbero dovuti incontrare per porre il tassello più importante al rilancio della maggioranza che il presidente del Consiglio ha iniziato a fare negli scorsi giorni. Per incontrare i vertici dei partiti che lo sostengono Letta ha rinunciato ad una visita in Turchia per svolgere un bilaterale con Erdogan, ma l’incontro più delicato, quello con il segretario della sua stessa formazione politica, è saltato. L’ennesima conferma di una tensione esplosiva all’interno del Partito Democratico, che sta replicando il film già visto con la diarchia provvisoria tra Prodi e Veltroni, così instabile che portò alle elezioni anticipate del 2008  a pochi mesi dalle primarie dell’autunno del 2007. Renzi mira a tornare alle urne il prima possibile, per sfruttare i nuovi rapporti di forza all’interno del PD, e  la percepita debolezza del campo avversario, con Berlusconi che ormai non si può più candidare ed il M5S isolato. Il sindaco di Firenze vuole anche evitare il logoramento che lo colpirebbe se rimanesse a lungo alla guida del partito che sostiene un governo ormai impopolare come quello guidato da Letta. Il Jobs Act diffuso ieri appare più un pilastro della futura campagna elettorale di Renzi più che un contributo del nuovo PD al rilancio dell’esecutivo. Alcune delle misure proposte sono radicali e necessitano di un lungo periodo di realizzazione, e mancano completamente le coperture finanziarie per finanziare interventi così costosi come il sussidio di disoccupazione universale. Il ministro “tecnico” Giovannini ha subito rimarcato come le misure proposte dal nuovo segretario del PD siano estremamente onerose. Il governo Letta è andato in completa confusione su misure assai meno costose come l’abolizione Imu sulla prima casa o l’aumento dell’Iva ordinaria al 22%, e con questa maggioranza è pressoché impossibile che si possano introdurre le proposte di Renzi. L’ostacolo non scomparirebbe ovviamente anche se il nuovo leader del PD vincesse le elezioni e riuscisse ad ottenere una solida maggioranza, al momento un’ipotesi quasi impossibile visto che con le modifiche apportate dalla Corte Consultazione si potrebbe andare a votare con una legge di impianto proporzionale, con il solo sbarramento del 4%. Le proposte del Jobs Act rimangono però suggestioni assai onerose, e sarebbero finanziabili solo in caso di drastiche rimodulazioni della spesa pubblica – altro che il rimborso da 150 euro da chiedere gli insegnati – oppure con un aumento della pressione fiscale. Renzi ha lasciato aperto il punto, visto che lo scambio tra meno Irap e più tasse sulle transazioni finanziarie non basta certo a finanziare il corposo e vasto programma. Alcuni suoi consulenti, come Davide Serra, hanno recentemente lanciato proposto di drastici aumenti dell’imposizione fiscali sui redditi da capitale, mentre l’attuale responsabile economico del PD Filippo Taddei aveva illustrato nella mozione Civati la possibile introduzione di patrimionali di scopo per finanziare le riforme del Welfare. Un quesito lascito aperto dal Jobs Act, che lo rende ora come ora poco più di una base per una campagna elettorale piuttosto propagandistica.

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