Il nazionalismo dei poveri e la rinascita della destra

martedì, 14 gennaio 2014

Questo articolo è uscito su “Nigrizia”.
L’impoverimento accelerato della popolazione italiana non si manifesta solo come caduta del reddito, perdita del lavoro, crisi del risparmio. C’è una povertà culturale che si manifesta in connessione diretta con la povertà materiale, tanto più vistosa in un paese i cui tassi d’istruzione risultano fra i più bassi dell’occidente.
Uno dei sintomi più evidenti della povertà culturale dilagante è, scusate il bisticcio di parole, proprio il nazionalismo dei poveri. Emerso dentro alla protesta popolare che si è riconosciuta nel simbolo (non a caso) primitivo dei forconi. E’ la vecchia fandonia dell’Italia “nazione proletaria” a riproporsi in una retorica patriottica che trae forza dal suo essere rudimentale. La formula è sempre la stessa. Basta con le distinzioni fra destra e sinistra. Basta con le associazioni di rappresentanza dei diversi soggetti sociali. La deformazione televisiva di decenni di politica-spettacolo, in cui le identità artificiali vengono enfatizzate fino a obbligarci a prenderle sul serio, impone ormai come unico fattore unificante il linguaggio da stadio.
Non a caso l’estrema destra ha condotto un lungo, silenzioso ma sapiente lavoro di reclutamento fra le tifoserie organizzate del calcio. E abbiamo ritrovato gli ultrà fra gli attivisti dei blocchi stradali, là dove si riconosceva perfino nella metrica degli slogan quella matrice elementare.
Per giorni e giorni ho sentito ripetere come un mantra, a chiunque mi rivolgessi: “Noi siamo l’Italia, noi siamo il popolo italiano e basta”. Un popolo che faceva suoi tutti gli archetipi più beceri di un nazionalismo che credevamo sorpassato dalle dinamiche commerciali, musicali, perfino gastronomiche di un cosmopolitismo entrato a far parte della nostra vita quotidiana. La rabbia interclassista degli impoveriti cerca e (forse) trova un denominatore comune nella denuncia del torto subito in quanto italiani: derubati dalla classe politica; derubati nella sovranità monetaria; derubati nei favoritismi che le istituzioni riserverebbero a chi arriva da fuori.
Ho udito nella manifestazione dei Forconi in piazza del Popolo a Roma un operaio romagnolo che raccontava: “Sono iscritto alla Cgil ma non ne posso più del mio sindacato che riserva i posti di lavoro agli stranieri, e non ne posso più della Boldrini che vuole dare le case popolari solo ai rom e agli immigrati”. La folla, sciaguratamente, lo applaudiva e poi cantava Fratelli d’Italia.
D’accordo, obietterete, quella era una manifestazione in cui si riconosceva una presenza organizzata delle formazioni di estrema destra. O, più precisamente, si delineava una nuova presenza pubblica di quella destra sociale che il populismo berlusconiano non è più in grado di imbrigliare secondo i suoi fini. Ma temo che ci sia anche qualcosa di più profondo. Nel vuoto politico e culturale della crisi di sistema in atto, un paese costretto a fare i conti con la sua crescente marginalità com’è l’Italia contemporanea vede crescere, fra i ceti popolari, l’istinto di aggrapparsi al nazionalismo più becero. Là dove si è infranta la mitologia leghista, è l’eterno fascismo di ritorno a tornare in auge.

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