Gli ebrei italiani alle prese con il caso Mastrapasqua

lunedì, 3 febbraio 2014

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.

 

Da giorni la vicenda dei presunti favoritismi goduti dall’Ospedale Israelitico di Roma campeggia sulle prime pagine dei giornali, suscitando disagio in tutto l’ebraismo italiano. Se ne accenna con cautela, perché l’inchiesta della Procura di Roma sembra fatta apposta per diffondere il pregiudizio antisemita secondo cui gli ebrei avrebbero goduto di una speciale indulgenza, e ne approfitterebbero. Non è così, e lo confermano le rivelazioni di “Repubblica”. Ma intanto l’ipotesi di rimborsi gonfiati, e la cifra di 42 milioni di euro che solo ora l’Inps rivendica con decreto ingiuntivo, alimentano un clima di sospetto. Né aiuta a dissiparlo l’imbarazzato silenzio di portavoce comunitari solitamente loquaci.
Sia ben chiaro: non esiste giustificazione alcuna perché l’opinione pubblica, scandalizzata dalle malversazioni emerse nel sistema Daccò-Formigoni o al San Raffaele, debba sorvolare su quanto accaduto all’Israelitico. Magari con la solita scusa che si tratta di una struttura sanitaria d’eccellenza, e che il suo status di istituto religioso gli riserva benefici analoghi a quelli goduti dalle cliniche cattoliche.
Come è noto, tutto ruota intorno alla figura di Antonio Mastrapasqua che da molti anni (2001) trova il tempo di rivestire fra gli altri pure l’incarico di direttore generale dell’Ospedale Israelitico; e al quale, in seguito, la Comunità ha affidato in aggiunta la gestione della Casa di Riposo. Sia detto per inciso: Mastrapasqua non è ebreo. Altri sono i criteri a cui si è ispirato chi l’ha prescelto; e ancora oggi preferisce astenersi da valutazioni riguardo al suo operato. Almeno fino al momento in cui scrivo.
Debbo credere che i responsabili della Comunità ebraica romana abbiano selezionato Mastrapasqua confidando sulle sue indubbie virtù manageriali. Ma mi riesce difficile escludere che fra i requisiti apprezzati nel prescelto figurassero anche le sue relazioni trasversali col mondo politico e con la burocrazia statale. Relazioni collocate principalmente a destra, anche se non solo. E in ogni caso organiche a quel sodalizio guidato da Gianni Letta, con Luigi Bisignani come braccio operativo, che a lungo ha fatto il bello e il cattivo tempo nelle istituzioni e negli enti del sottopotere romano. Tanto da consigliare, a chi cerca entrature negli snodi decisionali, di affidarsi a personaggi già dotati delle credenziali di cui sopra.
Qualunque siano le responsabilità di Mastrapasqua, manager senza dubbio capace oltre che bulimico, e senza escludere l’ipotesi che egli stia coprendo responsabilità altrui, è evidente come la sua vicenda imponga un ripensamento critico più generale sulla collocazione in cui si vengono a ritrovare le istituzioni dell’ebraismo italiano. Stiamo vivendo un passaggio d’epoca. Ma stiamo anche raccogliendo i frutti, spesso avvelenati, del ventennio trascorso. Ebbene: come si sono posizionati, nel ventennio che per comodità chiameremo berlusconiano, i rappresentanti delle Comunità ebraiche, alle prese con il mutare degli equilibri del potere?
L’argomento è delicato perché ha molte implicazioni. Da una parte il deciso spostamento a destra dei governi israeliani, spesso in rotta di collisione con l’Unione europea e con lo stesso alleato Usa, pareva sollecitare le Comunità della diaspora a un ferreo schieramento di solidarietà. Ma su questa sollecitazione, diciamo così, di natura esterna, si è innestata una novità di politica interna: cioè il forte bisogno di legittimazione della destra berlusconiana e post-fascista giunta nel 1994 al governo del paese tra mille sospetti. La destra italiana non si è accontentata di instaurare una stretta alleanza con i governi di Sharon, Olmert e Netanyahu. Dovendo fare i conti con i suoi trascorsi storici imbarazzanti, essa ha ricercato in ogni modo la benevolenza dell’ebraismo italiano; convinta, a ragione, di trarne una sorta di salvacondotto culturale.
Si è instaurata così una prassi informale di rapporti privilegiati; è stata favorita la crescita di uno spazio pubblico delle Comunità; sono giunte sovvenzioni; si sono valorizzate nuove figure di intermediari, nelle relazioni culturali e commerciali. Tutto questo oggi va ripensato nella massima trasparenza.
La stessa lunga opera prestata da Mastrapasqua all’Ospedale Israelitico, su cui nessuna reticenza sarebbe giustificata, può comprendersi solo in tale contesto.

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