La scossa di Renzi e l’ostacolo Napolitano

martedì, 18 febbraio 2014

Matteo Renzi sta facendo più fatica del previsto a comporre la squadra di governo. La reazione negativa della base del PD alla liquidazione piuttosto brutale di Enrico Letta sembra già essersi stemperata, ed il successo in Sardegna garantisce al leader democratico un ulteriore beneficio in questo senso. Il vero e proprio boom mediatico dedicato alla formazione del nuovo esecutivo è però la notizia più bella per lo stesso Renzi, in questi giorni incensato dalla stampa e dalla Tv italiane come raramente è capitato ad un altro leader prima di lui. Un consenso elevato ad un nuovo governo è piuttosto fisiologico, e sicuramente anche nei confronti di Renzi ci sarà una forte apertura di credito da parte degli italiani, probabilmente superiore rispetto al governo Letta, e non lontana da quella ricevuta da Monti e dalla sua squadra di professori. Il nuovo presidente del Consiglio dovrà però fare le cose, e gli annunci così roboanti sulle prossime riforme da realizzare appaiono un azzardo tipico della sua leadership. I no ricevuti sulla squadra di governo si concentrano prevalentemente sul nodo più rilevante del prossimo esecutivo, il ministero dell’Economia. Il vero problema, che emerge dai rifiuti di Barca e Reichlin, non è tanto sulla vaghezza della politica economica da realizzare, ma dal suo stesso presupposto. Matteo Renzi è stato finora molto coerente con la campagna elettorale delle primarie democratiche, condotta da candidato alla presidenza del Consiglio più che da aspirante alla successione di Guglielmo Epifani. La vera sfida lanciata ad Enrico Letta si basava sulla rottamazione, per quanto moderata e felpata, del Patto di Stabilità e Crescita dell’UE. Il rispetto dei vincoli europei e l’armonia con le istituzioni UE, a partire dalla Bce, è stata finora la linea impressa da Giorgio Napolitano al nostro paese dopo lo scoppio della crisi dei debiti sovrani. L’europeismo ha caratterizzato sia il governo Monti che lo stesso esecutivo di Letta, e Berlusconi è caduto dopo che aveva tentato di rompere con Bruxelles e Francoforte, nonostante gli acquisti miliardari effettuati dalla banca centrale per contenere il nostro spread. Fabrizio Saccomanni, banchiere assai vicino a Mario Draghi, rappresentava la continuità e la garanzia del rispetto della strategia europea. Il pareggio di bilancio in Costituzione e la ratifica quasi unanime del Fiscal Compat sono il quadro normativo di riferimento su cui si sono mossi tutti i governi dalla fine del 2011 ad oggi.  Renzi ha in mente una scossa economica, basata su un mix di tagli alle tasse e aumenti della spesa come la promessa ristrutturazione degli edifici scolastici, al momento incompatibile con i vincoli di bilancio dell’UE. L’austerità, come notava a inizio 2014 Wolfgang Münchau  sul Financial Times, ha vinto la sua battaglia definitiva con la formazione dell’unione bancaria. Renzi si propone di pensionarla, anche se al momento lo sostiene con toni sfumati che però evidenziano una pesante contraddizione. Il prossimo presidente del Consiglio ha detto di voler ascoltare il consiglio di Giorgio Napolitano sulla personalità da indicare al ministero dell’Economia, ma se il presidente della Repubblica sarà coerente con quanto fatto durante il suo mandato, il governo Renzi perderebbe subito la sua scommessa di cambiamento. Da Berlino e Bruxelles finora sono arrivati segnali di apertura al nuovo esecutivo, ma anche espliciti messaggi su come i margini di manovra, alla luce dell’elevato debito pubblico del nostro paese, siano molto ridotti.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.