La sfida a Putin che Obama non può fare

martedì, 25 marzo 2014

Dopo i fallimenti dell’era Bush in Iraq e Afghanistan e con un’economia statunitense sempre meno in grado di finanziare una politica estera e militare così assertiva la presidenza Obama si è caratterizzata per un graduale disimpegno dallo scenario internazionale, se paragonato all’epoca recente. L’Iran è uno dei teatri che meglio spiega questo nuovo posizionamento statunitense, con sanzioni economiche che alla fine hanno convinto il regime degli ayatollah a più miti consigli sul dossier nucleare. Il disimpegno di Obama è solo parziale, perché la politica americana di salvaguardia del proprio predominio mondiale rimane intatta, ma i mezzi con cui va preservato sono diversi. Un maggior utilizzo del soft power, con una significativa riduzione delle spese militari mentre nell’area più vivace del mondo, l’Asia, si assiste ad una crescita del nazionalismo ed aumento degli investimenti in armamenti ed esercito. L’aggressione di Putin all’Ucraina, inclusiva dell’annessione della Crimea, mette sotto stress i mezzi a disposizione degli Usa. Barack Obama vorrebbe perseguire una politica di sanzioni economiche molto più severa rispetto a quella desiderata dai suoi alleati europei, ma al momento le minacce si risolvono in una piuttosto non inclusione della Russia nel G8. Gli 80 miliardi di interscambio commerciale tra Germania e Russia sono uno dei vari freni ad una risposta a Mosca che potrebbe essere più efficace. In questo momento di crisi un confronto acceso con Putin è l’ultimo dei desideri europei, e il presidente statunitense, impegnato da anni in un’opera di riduzione della pressione militare del suo paese nei confronti del resto del mondo, si trova in una situazione di difficile soluzione. Più sanzioni economiche vorrebbero dire una probabile rottura con gli europei, che sarà ovviamente scongiurata, anche per non pregiudicare lo strategico ritiro dall’Afghanistan su cui la stessa Russia potrebbe mettere in difficoltà gli Usa. La debolezza interna del presidente americano, arrivato come di consueto con sempre meno capitali politico alla metà del suo mandato, acuisce una titubanza che appare come una debolezza sempre più accentuata. Dopo il flop della Siria, con un intervento militare prima minacciato e poi sconfessato dagli altri partner internazionali, la Crimea rischia di regalare un altro insuccesso ad Obama, con tanto di ghigno trionfale di Putin sullo sfondo. La possibile contorsione dell’economia russa – da inizio anno c’è stata una fuga di capitali pari a 50 miliardi di euro – potrà dare un eventuale e tardivo beneficio ad una presidenza che ha deciso da tempo di non esercitare il tremendismo militare della passata amministrazione americana, con vantaggi interni ma costi esterni.

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