La frescaccia del Fiscal Compact che costa 50 miliardi l’anno

giovedì, 3 aprile 2014

In questo video pubblicato oggi sul sito del Fatto Quotidiano, a 1 minuto e 47 secondi, si può vedere Beppe Grillo ripetere uno dei mantra della sua campagna elettorale per le europee.

Secondo il leader del MoVimento 5 Stelle il Fiscal Compact costerebbe all’anno 50 miliardi. Questa cifra si desume dalla riduzione di un ventesimo della quota di debito pubblico che eccede il 60%, la soglia massima fissata dal trattato sui bilanci europei. Siccome un ventesimo del debito pubblico italiano è pari a circa 50 miliardi di euro, allora bisogna ridurlo ogni anno di questa somma. Solo che ciò non è vero, anche se si può discutere all’infinito sull’opportunità di questi vincoli sul deficit e sul debito. Il Fiscal Compact si può sintetizzare in due regole, il pareggio di bilancio e un percorso graduale di riduzione del debito pubblico verso quota 60%. Questa in realtà è contenuta in un regolamento comunitario, la cosiddetta debt brake rule, che fa parte del cosiddetto “six pack”, la normativa adottata per rafforzare ed integrare il Patto di Stabilità e Crescita, quello che nel gergo politico e giornalistico vengono definiti i vincoli europei. La discesa del rapporto debito/Pil imposta dall’articolo 4 del Fiscal Compact, come spiegata dal regolamento sulla debt brake rule, prevede che la differenza tra il suo valore annuale e la soglia del 60% per cento si riduca, e quindi diminuisca anche di 1/20 della differenza. I  teorici 50 miliardi citati si ridurrebbero ogni anno. Il Fiscal Compact però non prevede un automatismo così brutale come viene detto da Grillo, e neppure meccanismi così stringenti di applicazione. Questo dato non è in realtà neppure corretto, come spiega Davide De Luca. Tutti i paesi dell’eurozona devono rispettare i vincoli imposti dal Patto di Stabilità e Crescita del 1997, che prevede un deficit massimo del 3%, così come il pareggio strutturale di bilancio imposto dalle nuove regole sui bilanci europei. Se uno stato è sottoposto a procedura di infrazione, come è stato per l’Italia fino a poco tempo fa, viene dispensato dal rispetto della regola della riduzione del debito pubblico, ma deve dimostrare una tendenza al suo declino. Dopo tre anni dall’uscita dalla procedura per deficit eccessivo, scatterà l’impegno alla riduzione del debito. La riduzione all’inizio non sarà così gravosa come viene descritto, visto che basterebbe una crescita del Pil nominale al 2,5%, un valore in realtà piuttosto basso per un’economia non in recessione o grave stagnazione, fatto salvo ovviamente il raggiungimento del pareggio di bilancio. Se l’economia tornasse a crescere in modo relativamente basso, come hanno mostrato gli economisti de La Voce, il Fiscal Compact non sarebbe così impossibile da rispettare. Sempre che l’eurozona non scivoli in deflazione, così da rendere meno rilevante la differenza tra Pil reale e nominale. Una valutazione che comunque prescinde dal letterale rispetto di questo trattato, che pare destinato a subire un destino non così diverso dal Patto di Stabilità e Crescita il cui sostanziale pensionamento è stata la base della nascita del Fiscal Compact, quando è scoppiata una nuova crisi del debito nell’eurozona. Il vincolo eterno al  pareggio di bilancio potrebbe essere modificato nei prossimi anni, se dopo la crisi ci sarà una stagnazione di cui le tendenze deflattive appaiono i primi sintomi.

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