Grillo e la Shoah: quel malsano impulso allo sfregio

martedì, 15 aprile 2014

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.

Uffa ma come sono noiosi questi ebrei. Pretendono di essere intoccabili? Non sanno stare al gioco? Perché sugli altri si può scherzare e su di loro invece no?
Immagino che siano questi i pensieri che frullano per il capo di Beppe Grillo davanti alle reazioni indignate che ha suscitato il suo fotomontaggio sull’insegna del lager di Auschwitz e la sua parodia di Primo Levi tirato addosso agli avversari politici, paragonati ai nazisti.
Eppure questa non è vicenda che riguardi solo la sensibilità ebraica di fronte alla memoria della Shoah. Bisognerebbe proprio che lo capisse, Beppe Grillo, glielo vorrei dire accoratamente: quello che lui vive come meritorio, trasgressivo assalto al conformismo dei codici del linguaggio politicamente corretto, è invece uno sfregio ai valori condivisi su cui si regge la nostra democrazia. Non è il potere, non è un regime, tanto meno è una lobby che si pretende intoccabile a imporre il divieto di paragoni storici grotteschi, l’abuso di metafore evocative di un male assoluto che tuttora ci risulta indecifrabile. No, ne sia o meno consapevole, ben altro Grillo fa traballare col suo rabbioso istinto comico distorto in messaggio politico: egli mina alla radice una regola elementare di civiltà per cui non si scherza su una tragedia storica fingendo di assimilarsi a chi ne fu vittima. Mi auguro che stavolta a sentirsene offesi siano anche molti dei suoi sostenitori, e in qualche modo riescano a farglielo capire.
La rottura di quel codice non scritto per cui su Auschwitz non si scherza, aveva già trovato non a caso il suo precedente più noto negli spettacoli antisemiti del comico francese Dieudonné, che purtroppo ha riscosso notevole successo descrivendo gli ebrei come una specie protetta, trincerata dietro al privilegio occidentale. Dieudonné persegue consapevolmente la sua provocazione calamitando le simpatie degli immigrati arabi in chiave antisraeliana, infarcendole nella subcultura di una Francia profonda che non vuole fare i conti con il collaborazionismo filonazista della repubblica di Vichy.
In Beppe Grillo, viceversa, è il complottismo la paranoia dominante, come dimostra il riferimento alla P2 premesso all’insegna del lager. Napolitano e Renzi additati come gerarchi delle SS vorrebbe funzionare come l’espressione di una polemica forte, nient’altro che questo. Sicché a colpirci è l’ignoranza di chi fa ricorso a una bestialità di tal fatta. Pensa di farci ridere? Pensa che qualcuno potesse assumere il suo come un richiamo emotivo alla gravità della situazione in cui versa il nostro paese? Se così fosse, egli avrebbe contribuito a spargere intorno a sé l’ignoranza da cui si dimostra afflitto. Mi resta difatti il timore che si trovino davvero in giro persone disturbate dalle reazioni che la sua trovata sta suscitando. Quasi che noi dovessimo, in nome della libertà di satira e del ricorso alla spiritosaggine, rinunciare a dare importanza al significato delle parole. Rinunciare alla categoria umana della gravità, al senso del tragico immanente nella nostra vicenda esistenziale. In ciò egli fa seguito a una comunicazione politica che già in Italia era degenerata attraverso l’uso scomposto della barzelletta, il ricorso impunito alla metafora bellica, all’oltraggio razzista mascherato da battuta umoristica.
Se ha potuto fare questo, Beppe Grillo, è per ignoranza. Il populismo racchiude in sé questa insidia: descrive un popolo grossolano, percorso da umori e malumori semplificati, ne assume i caratteri peggiori enfatizzandoli come genuini. E’ tipico del populismo, infatti, esibire l’ignoranza come virtù politica, facendone il segnale di una presunta vicinanza al comune sentire del popolo.
Quando abitui la gente dall’alto del tuo blog o del tuo palcoscenico a chiamare nazista sterminatore quelli con cui te la prendi, non solo ti sei abbruttito: abbruttisci anche gli altri. Quando storpi Primo Levi a fini di calunnia, ti trasformi in avvelenatore contagioso.
Di certo Beppe Grillo ignorava che proprio ieri sera gli ebrei celebravano in tutto il mondo il Pesach, cioè la Pasqua che commemora la liberazione della schiavitù d’Egitto. Anche la disperata rivolta del ghetto di Varsavia scoccò la prima sera di Pesaci, quando abitualmente le famiglie si ritrovano nella cena in cui si spezza il pane azzimo e si rammemora –come se accadesse oggi- il miracolo dell’Esodo. Ieri sera, in Italia, questo momento sacro di festa ha subito uno sfregio. Ma a sentirsi sfregiata, stavolta, è la dignità di tutti.

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