Il mancato rammarico di Beppe Grillo ne rivela il limite

mercoledì, 16 aprile 2014

Per tre o quattro volte nel corso del suo spettacolo Beppe Grillo usa la seguente espressione: “Devo farmi un complimento ma…”. E di seguito racconta un merito che ritiene di attribuirsi, un sacrificio a cui si è sottoposto, un atto di generosità che l’ha visto protagonista. Per la verità l’intero suo eloquio ha questa impostazione: ve l’avevo detto, te la dò io, noi siamo i meglio, ma cosa vogliono quelli lì e -soprattutto- IO SONO L’UNICO CHE…
Non mi ha dunque per nulla stupito che Grillo abbia preferito allontanarsi alla chetichella dall’errore compiuto lunedì scorso pubblicando il fotomontaggio di Auschwitz con la parodia di Primo Levi. Ha solo borbottato una parola ostile nei confronti del presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, invitando gli ebrei stessi a liberarsene, per poi svicolare fiducioso di averla sfangata anche stavolta. Ma proprio la mancata riflessione sull’uso della parodia e sulla memoria storica, il suo essere indisposto a riconoscere di aver ferito ingiustamente delle sensibilità, il dileggio scaraventato addosso a chi si è sentito ferito, senza neppure un cenno di rammarico, denotano il limite del personaggio. Uomo fragile e insicuro, Grillo non può mai mettersi in discussione. Privo di resipiscenza, si romperà tutto in una volta.

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