Abu Mazen, la memoria della Shoah e la scelta regressiva della Brigata Ebraica

lunedì, 28 aprile 2014

Nel giorno in cui il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, definisce l’Olocausto come “il più odioso crimine contro l’umanità dell’era moderna”, esprimendo “solidarietà per chi ne fu vittima, gli ebrei e gli altri”, in Italia si rimane un passo indietro. Da provinciali scimmiottiamo il conflitto mediorientale usando come palestra il perimetro di una ricorrenza nazionale che nessun democratico dovrebbe permettersi di strumentalizzare: il 25 aprile, anniversario della Liberazione d’Italia dal giogo nazifascista, data simbolo della Resistenza partigiana.
L’ultima bestialità l’ha scritta Davide Piccardo, portavoce del Coordinamento associazioni islamiche milanesi: “Andare alla manifestazione del 25 aprile con la bandiera israeliana significa insultare la resistenza”. Giustamente l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, gli ha risposto che si tratta di un’affermazione “terrificante”. Mentre da Roma il presidente della Comunità ebraica, Riccardo Pacifici, con tono più adatto a un bullo di periferia che a un rappresentante istituzionale, coglie l’occasione per rilanciare: “Il prossimo anno saremo tutti a Milano e vediamo se avranno il coraggio di continuare a insultarci. Basta” (qualcuno di più responsabile s’incarichi di avvertire Pacifici che non c’è bisogno di surriscaldare ulteriormente gli animi).
Se la degenerazione bellicosa delle opposte fazioni che nulla hanno a che fare col 25 aprile (come ha giustamente notato Michele Serra) consentisse ancora un ragionamento pacato, vorrei qui esprimere il disagio di un ebreo cittadino italiano come tanti altri. Premessa la libertà di manifestare con i propri simboli, e la condanna per chi ha insolentito le bandiere con la stella di Davide confermando la persistenza di un antisemitismo di sinistra mascherato da antisionismo, resta a mia parere sbagliata la scelta dei dirigenti delle Comunità ebraiche italiane. Da qualche anno (contravvenendo a una lunga tradizione unitaria) essi invitano gli ebrei a partecipare alle manifestazioni del 25 aprile distinguendosi e separandosi dietro allo striscione della Brigata Ebraica. Siamo in presenza di una scelta regressiva e di una forzatura storica. Come è noto migliaia di ebrei italiani hanno partecipato alla Resistenza antifascista nelle sue diverse formazioni partigiane, con atti di eroismo e pagando un caro prezzo in termini di vite umane. Ciò è vero dall’8 settembre 1943, con netto anticipo sullo sbarco in territorio italiano, nel marzo 1945, della Brigata composta da circa cinquemila ebrei palestinesi nell’ambito delle truppe alleate. A tutti loro va la nostra gratitudine. Per liberare l’Italia sono morti a decine di migliaia soldati alleati di varie nazionalità e fedi religiose (sì, anche musulmani). Fra questi, anche 41 soldati della Brigata ebraica.
Perchè a un certo punto, dopo più di mezzo secolo, l’Ucei decide di enfatizzare il ruolo della Brigata Ebraica, sino alla forzatura di chiederci di sfilare dietro alle sue insegne, se non per fini politici strumentali? Sorvoliamo sul fatto che dietro a quello striscione si sono furbescamente allineati personaggi della politica italiana che col fascismo nel frattempo erano scesi a bassi compromessi. E chiediamoci se una tale scelta non risponda a una logica di balcanizzazione e isolamento settario che è l’esatto opposto dei valori del 25 aprile. Se è di simboli che va in cerca l’ebraismo italiano, e se non bastassero i partigiani ebrei che hanno combattuto nelle file della Resistenza, mi permetto di segnalargliene uno di cui andare orgogliosi: Umberto Terracini, l’ebreo genovese che dopo aver trascorso 11 anni in carcere e 6 anni al confino sotto il fascismo, appose la sua firma sotto la Costituzione della Repubblica italiana nella sua veste di presidente dell’Assemblea che l’aveva redatta.

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