Perché il PD di Renzi non c’entra nulla con la DC

venerdì, 30 maggio 2014

Il 40,8% conseguito dal Partito Democratico alle ultime elezioni europee ha stupito tutti gli osservatori. Normale, visto che nessuna formazione politica del nostro paese conseguiva una percentuale così elevata dal 1958, quando la Dc all’epoca guidata da Amintore Fanfani stravinse alle elezioni politiche. Il risultato del PD è stato straordinario, nel senso di fuori dall’ordinario, sopratutto se si considera che solo l’anno scorso sembrava che il bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra si fosse esaurito e fosse nato un tripolarismo tra questi due campi “tradizionali” ed il nuovo blocco elettorale “anti-sistema” rappresentato dal M5S. Il successo incredibile del Partito Democratico è stato spiegato, da diversi commentatori, come l’eterno ritorno della Dc. Una nuova formazione di centro che rappresenta in modo omogeneo i territori e le classi sociali. Una suggestione rafforzata dalla leadership di Matteo Renzi, politico che viene dal mondo post Dc (è stato giovanissimo dirigente di Ppi e Margherita) e dal suo diffuso apprezzamento nei settori moderati della nostra società. Il paragone però non regge ad una banale analisi dei numeri, e dei consensi che hanno portato i democratici ad un risultato così straordinario. Il PD ha trionfato in modo territorialmente opposto alla DC, che dominava il Sud, era il partito di riferimento nella provincia dell’Italia settentrionale e non, e perdeva nelle “Regioni rosse” così come scontava difficoltà nelle grandi città del nostro paese. Come da consuetudine nella storia recente del centrosinistra, il PD ha trovato i suoi maggiori consensi in regioni quali Toscana, Emilia o Umbria, dove le sue percentuali hanno superato il 50%. Un dato raggiunto solo dal Pci dei tempi d’oro. Il Partito Democratico ha poi dominato nelle metropoli italiane, superando nei più grandi centri urbani del nostro paese la percentuale ottenuta a livello nazionale. A Milano e Torino il PD ha preso il 45%, a Roma il 43%, a Napoli il 40%. La Dc di Fanfani nel 1958 ottenne risultati molto inferiori: a Milano il 30%, a Torino, Napoli e Roma il 32%. Questa prima impressione sulla distribuzione geografica del voto rimarca ciò che gli studi sui flussi dell’Istituto Cattaneo, l’analisi del prof. D’Alimonte sul “Sole 24 Ore”, i sondaggi di Ipsos e l’exit poll di EMG di Masia hanno evidenziato. Il fattore numero uno della straordinaria avanzata del PD è stata l’eccezionale mobilitazione del suo elettorato. In un’elezione caratterizzata da una forte astensione, quasi 20 punti percentuali di affluenza in meno rispetto alle politiche, il governo di Matteo Renzi e lo sforzo unitario del partito hanno riportato alle urne quasi tutti gli elettori del 2013. Già solo questo fattore avrebbe scavato un grande distacco tra il PD e i suoi avversari, M5S in primis. Il fossato che ora appare incolmabile è stato poi determinato dalla conquista di pezzi di elettorato che finora erano stati quasi sempre irraggiungibili dal PD. Questo ha determinato il clamoroso successo di domenica 25 maggio. La base sociale del PD 2014 non appare così diversa da quella del passato, vista la preminenza di pensionati, lavoratori dipendenti, specie nel pubblico, e ceti medi impiegatizi. La Dc era di gran lunga il primo partito tra autonomi ed imprenditori, mentre il PD ora è stato competitivo come mai in passato, ma certo non è riuscito a diventare  in questo segmento sociale ciò che sono stati Forza Italia e il Pdl, uniti alla Lega, fino a poco tempo fa. La valutazione su distribuzione geografica e base sociale del voto 2014 rimarca come il PD di Renzi abbia raggiunto il picco di consenso del centrosinistra italiano, in questo raggiungendo gli obiettivi che finora nè l’Ulivo né le prime versione degli stessi democratici erano riusciti ad ottenere. In questo senso il PD non c’entra nulla con la Democrazia cristiana, che era sì un partito nazionale come ora appare la formazione guidata da Renzi, ma la cui base sociale e la distribuzione territoriale erano assai più vicine al centrodestra di Berlusconi. Il 45% di Pdl  e Lega Nord reggeva maggiormente il paragone con la Dc dal punto di vista della distribuzione dei consensi territoriale così come sociale. Questo dato è un ulteriore freno al paragone PD-DC. Dopo l’assoluto pareggio tra centrosinistra e centrodestra nel 2006, dal 2008 al 2010 il centrodestra sembrava destinato ad un futuro di maggioranza strutturale dell’elettorato italiano, proprio come era riuscito alla Dc tra il 1948 e i decenni successivi. Nel 2013 il bipolarismo sembrava essersi esaurito, e ora saremmo arrivati al lungo dominio del PD. Questi scenari così diversi a pochissima distanza di tempo rimarcano come il vero portato elettorale della crisi sia stato in questi anni una significativa volatilità dell’elettorato che ha sgretolato ogni  elemento di certezza del sistema politico italiano. Solo i prossimi anni indicheranno quanto sia permanente il consenso del Partito Democratico, che, va rimarcato, alle scorse Europee ha comunque preso circa un milione di voti assoluti in meno rispetto all’Ulivo 2006 e il PD 2008.

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