Il buono e il brutto

giovedì, 26 giugno 2014

 Alberto Alfredo Tristano

“Ehi, Biondooo… Lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio di una grandissima puttaaaaa…”
Il Buono e il Brutto, liquidato il Cattivo, tornano a incrociarsi sulle onde del destino, nella gloria della vecchiaia, l’uno per l’applauso e l’altro per l’ultimo omaggio. Mentre esce “Jersey Boys”, l’ultima fatica del Buono, Clint Eastwood, 84 anni di maestria già all’opera sul prossimo film intitolato “American Sniper” e centrato sulla figura vera di Chris Kyle, il più letale cecchino della storia militare americana, l’altro il Brutto, Eli Wallach, se ne va alla rispettabile età di 98 primavere.
In quel luogo di scambio che fu l’ultimo capitolo della “trilogia del dollaro” di Sergio Leone, Eastwood e Wallach sancirono un’amicizia – dopo qualche dissidio sul set – che è durata fino alla fine (Eastwood lo volle per una parte in uno dei suoi molti capolavori, “Mystic River”) e una svolta per entrambi. Eastwood, consolidata la fama planetaria da cowboy dopo gli inizi “alimentari” in tv, cominciava a maturare verso una più piena consapevolezza di cineasta: di lì a pochi anni sarebbe passato dietro la macchina da presa, e quanto alla sua statura di regista, va detto che la gloria dei capolavori della maturità (“Gran Torino”, ch’è forse la vetta, “Mystic River”, “Million Dollar Baby”) non dovrebbe oscurare le sue ottime prove di decenni prima.
Diversa invece la parabola di Wallach, che con Leone trovò il personaggio della vita, ma aveva una già notevole carriera al cinema da comprimario con Kazan (“Baby Doll”, film oggi ricordato più perché battezzò l’indumento femminile che vestiva la protagonista Baker, che per la storia), lo Sturges dei “Magnifici Sette”, e Houston (in “Gli spostati”, film finale di due miti come la la Monroe e Gable). E ancor di più Wallach aveva un nome nel teatro americano: sì perché nonostante la faccia messicana da picaro, Wallach, nato in una famiglia ebraica originaria della Polonia, era un attore dell’Actor’s Studio, interprete di Williams, che in fondo vedeva il cinema come un modo per gestire più comodamente l’avventura meno redditizia della scena. Curiosamente, proprio sul set spagnolo del film di Leone, pensando al ritorno in America per interpretare un nuovo Cechov, nella finzione era fratello di un prete col volto di un altro serissimo attore teatrale come Gigi Pistilli, interprete strehleriano di Brecht soprattutto, ingiustamente poco sfruttato dal nostro cinema, e scomparso nel ’96 tragicamente.
Se col Brutto il buon Wallach ebbe il punto più alto della sua carriera, almeno come presenza nell’immaginario collettivo, col Buono invece Eastwood chiuse con l’icona monocorde dell’antieroe leoniano ma non col western, per gettare le basi – insieme ad altri personaggi cult come l’ispettore Callaghan – da grande autore del cinema mondiale.
Rafforza la fama una volta di più questo “Jersey Boys”, non perché sia all’altezza del suo cinema migliore, ma perché spesso un grande regista si vede anche nelle sue opere meno riuscite. Intanto è ammirevole il sotteso omaggio a Scorsese – un collega, peraltro più giovane – di questa pellicola che mischia amicizia giovanile italo-americana, mafia, racconto sociale attraverso i decenni e disincanto crepuscolare: eppure non è un calco, perché di Scorsese il vecchio Eastwood non mutua l’ansia da prestazione stilistica che spesso scivola nelle tempeste della colonna sonora e nel saettare dei movimenti di macchina. Eastwood ha una sua forma classica, statuaria, e la conserva anche alle prese con questo magnifico musical che va sbancando Broadway da nove stagioni e racconta la vera storia dei Four Seasons, gruppo pop che dagli anni Cinquanta ha collezionato successi in serie grazie al falsetto di Frankie Valli e al talento di scrittura di Bob Gaudio (“Sherry”, “Big Girls Don’t Cry”, Dawn”, tra le moltissime hit).
Bellissime le interpretazioni dei giovani attori, in gran parte gli stessi che portarono al debutto il testo originale a teatro. E piena di spirito e di leggerezza è la narrazione delle dinamiche di questo gruppo, fedele a se stesso e alla propria amicizia, a prezzo di pagarla cara, prima che le incomprensioni e le aspirazione individuali lo sciolgano (ma non per sempre). Memorabili molte scene, come il furto fallito di una cassaforte gigante con un’automobile, la panoramica sul grattacielo della casa discografica dove per ogni piano si fanno provini di genere musicali diversi, e il gran finale, che sta tra la chiamata di sipario e la parata felliniana, con tutti i personaggi in scena, vestiti con i costumi di tutti i decenni trascorsi, attraverso le evoluzioni musicali della band.
Giù il cappello per il vecchio Clint. Il Buono. Troppo Buono.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.