Pasolini, un film senza fine

mercoledì, 2 luglio 2014

Pier Paolo Pasolini, PPP, artista uno e trino, tragico, grandissimo, plateale, ingombrante. Forse il più influente intellettuale italiano del dopoguerra. Il talento multiforme, la vis polemica innervata su una cultura smisurata, la vita “scandalosa” e la morte oscura lo hanno imposto come figura cardine della nostra cultura, la cui onda è continuata ben oltre la sua scomparsa, nella notte tra il 1° e il 2 novembre del 1975 a Ostia. A Roma, al Palazzo delle Esposizioni, è in svolgimento una mostra molto bella che illumina anche aspetti finora poco conosciuti della sua attività, come la passione per il dipingere, lui che era stato allievo di Roberto Longhi, alle cui lezioni apprese il fuoco figurativo del Rinascimento che informa molto del suo cinema. In giro per il mondo, tra i modelli che i giovani autori assumono, l’italiano più in voga (con Antonioni) è senz’altro Pasolini. La cui carriera di regista – motivo che la rende ancora più straordinaria – fu brevissima: quindici anni appena, dal 1961 con “Accattone” alla morte.
Per restare al cinema, sono ben due i film che di qui all’anno prossimo (a quarant’anni dall’uccisione) proveranno a illuminare la fosca storia di quest’assassinio, uno dei grandi misteri italiani. Il primo film lo firma Abel Ferrara, il grande regista italo-americano che con lo scandalo del potere si è misurato già attraverso la figura di Strauss-Kahn per “Welcome to New York”, che è incorso in serissime difficoltà di distribuzione (lo si trova online). Ferrara stavolta si dedica agli ultimi mesi di vita di Pasolini, utilizzando per il personaggio (impressionante quanto a somiglianza) il divo americano Willem Dafoe. Alle Giornate professionali del cinema in svolgimento in questi giorni a Riccione è stato presentato il trailer dell’opera che sarà in sala da settembre prossimo.
E sempre in questi giorni è iniziata la lavorazione di un altro film italiano, “La macchinazione”, praticamente identico nel soggetto al “Pasolini” di Ferrara: anche qui si ricostruiranno gli ultimi mesi di vita dell’artista. La regia è di David Grieco, che ha avuto modo, giovanissimo, di frequentare da attore il set di “Teorema”; Pasolini sarà interpretato da Massimo Ranieri.
Siamo nel 1975. Pasolini sta montando il suo film più infernale e violento, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”; sta scrivendo “Petrolio”, romanzo d’attacco al potere, che prometteva di svelare le ragioni dell’attentato a Mattei, tirando in ballo Cefis; incontra un ‘ragazzo di vita’ che si chiama Pino Pelosi, che la verità giudiziaria indica come l’esecutore del delitto, anche se di recente nuove sue dichiarazioni hanno riaperto il caso; e Roma inizia a essere terrorizzata da una nuova associazione criminale: la Banda della Magliana.
Così Grieco presenta il film: “Le verità ipotetiche sulla morte di Pasolini che circolano da anni sono tante. Pasolini è stato ucciso da Pelosi che ha fatto prima da informatore per il furto delle bobine di ‘Salò’ e poi da esca per l’agguato all’Idroscalo. Pasolini è stato assassinato dalla famigerata Banda della Magliana. Pasolini è stato eliminato su ordine di Eugenio Cefis perché indagava sui loschi traffici del presidente di Eni e Montedison che avrebbe fondato la P2 e nel ‘62 fatto precipitare l’aereo di Mattei. Pasolini si è fatto uccidere e si è fatto Cristo pianificando il suo martirio nei minimi dettagli, come sostiene l’amico e pittore Giuseppe Zigaina. ‘La macchinazione’ sposa tutte queste ipotesi intrecciandole in un ordito semplice e verosimile. Perché c’è del vero in ognuna di queste tesi. Una verità sepolta sotto tante verità”.
Indubbiamente Pasolini, personaggio che sul proprio genio e le proprie contraddizioni, le provocazioni e le laiche profezie ha realizzato su di sé una straordinaria attenzione anche postuma, perfettamente si presta a configurarsi come punto di contestazione permanente e insieme vittima sacrificale del potere, anzi del Palazzo (come lui lo definiva). Di sicuro ebbe un ruolo determinante l’uso spericolato della propria esistenza.
Ritorniamo alla vicenda del furto delle pellicole di “Salò”, film che uscì dopo l’omicidio. Piccola criminalità o grande cospirazione? La vicenda coinvolse anche Fellini e il suo colossale “Casanova”. Cito da un passo della biografia “Fellini” di Tullio Kezich: “C’è un pizzico di giallo quando i soliti ignoti, il 27 agosto (del 1975, ndr) rubano 74 pizze dalle celle frigorifere dello stabilimento Technicolor: fra i negativi di altri film ( tra i quali ‘Salò/Sade’ di Pasolini) ci sono anche le prime tre settimane di lavorazione di “Il Casanova” con la scena dell’arresto del protagonista in barca durante la tempesta. La faccenda rimane piuttosto oscura: i giornali parlano di una richiesta di riscatto di mezzo miliardo, il produttore (Alberto Grimaldi, che fece sia ‘Salò’ che ‘Casanova’, ndr) si rifiuta di pagare e tutto si trascina fino al maggio dell’anno successivo quando parte delle scatole rubate ricompaiono a Cinecittà”. Peccato che in mezzo ci sia stato quel maledetto novembre. Se Pasolini avesse rifiutato ogni relazione, inevitabilmente pericolosa vista la controparte, come fece Grimaldi, leggeremmo oggi una storia diversa? Ma “Salò” c’entrava davvero con quella notte? Il delitto Pasolini continua interminatamente.

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