Una amara riflessione di Gideon Levy sulla guerra in corso

domenica, 13 luglio 2014

Sull’ultimo numero di “Internazionale”, grazie alla traduzione di Marina Astrologo, compare questa amara riflessione di Gideon Levy (nella foto), scritta per il quotidiano israeliano “Haaretz”.

In seguito al rapimento e all’uccisione di tre ragazzi israeliani nei Territori occupati, Israele ha arrestato in maniera indiscriminata circa cinquecento palestinesi, tra cui alcuni parlamentari e decine di ex detenuti già scarcerati che non avevano alcun legame con il sequestro. L’esercito israeliano ha seminato il terrore in tutta la Cisgiordania con retate e arresti di massa allo scopo dichiarato di “schiacciare Hamas”.
Su internet ha imperversato una campagna razzista in seguito alla quale un adolescente palestinese è stato bruciato vivo. Tutto questo dopo che Israele aveva intrapreso un’offensiva contro il tentativo di creare un governo di unità palestinese che il mondo era pronto a riconoscere, aveva violato l’impegno a scarcerare dei detenuti, aveva congelato la via diplomatica e aveva rifiutato di proporre un piano alternativo per continuare il dialogo.
Pensavamo davvero che i palestinesi avrebbero accettato tutto questo in modo remissivo, obbediente e calmo, e che nelle città israeliane avrebbero continuato a regnare la pace e la tranquillità?
Cosa credevamo, noi israeliani? Che Gaza sarebbe vissuta per sempre all’ombra dell’arbitrio di Israele (e dell’Egitto), alternando momenti di lieve allentamento delle restrizioni imposte ai suoi abitanti a momenti di penoso inasprimento? Che il carcere più vasto del mondo sarebbe continuato a essere un carcere? Che centinaia di migliaia di residenti a Gaza sarebbero rimasti tagliati fuori per sempre? Che sarebbero state bloccate le esportazioni e decretate limitazioni alla pesca? Ma di cosa deve vivere un milione e mezzo di persone? Qualcuno sa spiegare perché prosegue il blocco, benché parziale, di Gaza? Qualcuno sa spiegare perché del suo futuro non si discute mai? Credevamo davvero che tutto sarebbe andato avanti come prima e che Gaza l’avrebbe accettato passivamente? Chiunque lo abbia creduto è stato vittima di un pericoloso delirio, e adesso il prezzo lo stiamo pagando tutti.
Però, per favore, non mostratevi stupiti. Non ricominciate a gridare che i palestinesi fanno piovere missili sulle città israeliane senza motivo: certi lussi non sono più ammissibili. Il terrore che provano adesso i cittadini israeliani non è più grande del terrore che hanno provato le centinaia di migliaia di palestinesi vissuti per settimane nell’attesa che nel bel mezzo della notte i soldati gli sfondassero le porte e gli invadessero le case per perquisire, smantellare, distruggere, umiliare e poi magari portarsi via un membro della famiglia.
La paura che stiamo vivendo noi israeliani non è più grande di quella vissuta dai bambini e dagli adolescenti palestinesi, alcuni dei quali sono stati uccisi inutilmente in queste ultime settimane dall’esercito d’Israele. La trepidazione che provano gli israeliani è sicuramente minore di quella che provano gli abitanti di Gaza, che non hanno allarmi rossi né rifugi né un sistema antimissile come Iron dome che li salvi, ma soltanto centinaia di terrificanti incursioni dell’aviazione militare israeliana che si concludono con la devastazione e la morte di innocenti, compresi anziani, donne e bambini: ne sono già stati uccisi durante l’operazione in corso, come durante tutte quelle che l’hanno preceduta.
Quest’operazione ha già un nome puerile, Protective edge, Margine di protezione. Ma l’operazione Protective edge è cominciata e si concluderà come tutte le precedenti, cioè senza assicurarci né la protezione né il margine. I mezzi d’informazione e l’opinione pubblica israeliani esigono il sangue dei palestinesi e la loro distruzione, e il centrosinistra è d’accordo, naturalmente, così come è sempre d’accordo all’inizio. Il seguito, però, è già scritto da un pezzo nelle cronache di tutte le operazioni insensate e sanguinarie condotte a Gaza in ogni epoca. Stupisce, semmai, che da un’operazione militare all’altra sembra che nessuno impari niente. L’unica cosa che cambia sono le armi impiegate.
È vero che inizialmente il primo ministro Benjamin Netanyahu ha reagito con moderazione, e per questo è stato debitamente elogiato, ma certo neanche lui poteva starsene fermo davanti ai missili sparati da Gaza. Comunque tutti sanno che Netanyahu non aveva alcun interesse a questo scontro.
Ma le cose stanno proprio così? Se davvero lo scontro non gli interessava, avrebbe dovuto perseguire seriamente delle trattative diplomatiche. Invece non l’ha fatto, quindi è chiaro che in realtà gli interessava eccome. Il suo quotidiano, Israel Hayom (“Israele oggi”), è uscito con titoli strillati: “Vai fino in fondo”. Ma Israele non raggiungerà mai il pazzesco “fondo” auspicato da Israel Hayom, e comunque non certo con la forza.
“Non c’è modo di sfuggire al castigo per ciò che sta succedendo qui da quasi cinquant’anni”, ha dichiarato lo scrittore David Grossman in occasione della Conferenza israeliana sulla pace, che si è aperta a Tel Aviv l’8 luglio. Queste parole sono state pronunciate solo poche ore prima che l’ultimo castigo nella lunga catena di delitti e castighi si abbattesse sui civili israeliani, così innocenti e senza colpa.
(Traduzione di Marina Astrologo)

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