Il PD e la continua paura del voto segreto

giovedì, 31 luglio 2014

Il voto segreto è stata diffusa prassi fino agli anni ottanta, quando sono stati  introdotti nuovi regolamenti parlamentari per limitarne l’uso, che aveva favorito la proverbiale instabilità dei governi italiani. A più di 30 anni di distanza il Partito Democratico, impegnato in uno dei suoi progetti più ambiziosi, la riforma di una sessantina di articoli della Carta costituzionale, deve ringraziare la spinta di Craxi e De Mita per la forte limitazione dello scrutinio segreto al Senato. La votazione di questa mattina sulle competenze del Senato delle Autonomie in materia di diritti  civili e sulla riduzione dei deputati ha confermato come i democratici sappiano essere uniti solo a scrutinio palese. L’emendamento Candiani sui diritti civili è passato grazie al voto segreto, mentre il no di Grasso a questa modalità di votazione ha evitato l’affossamento della riforma. Difficilmente si sarebbe potuti ripartire senza scossoni con la significativa riduzione dei deputati chiesta dall’emendamento leghista, bocciato solo grazie al voto palese. I dirigenti del PD di rito renziano hanno rievocato il fantasma dei “101 traditori” che affossarono Prodi, ma il problema appare più articolato. La riforma del Senato così come la legge elettorale che formano il patto con Berlusconi non convincono i gruppi parlamentari, come mostrato già dal travagliato passaggio dell’Italicum alla Camera dei Deputati. Il problema non è tanto l’ostilità, legittima, ad un riforma istituzionale che lascia ancora diversi dubbi, specie sul tema della garanzie. La modalità di discussione all’interno del PD non è in grado di risolvere i punti di dissenso in modo franco, come mostra il doppio volto del partito di maggioranza relativa al Senato. Un PD compatto nelle assemblee, con una netta maggioranza di senatori che ha isolato i “dissidenti” legati a Chiti, così come in aula, ma franato appena il voto non è stato più palese. L’esame dell’aula indica un’approvazione piuttosto faticosa delle riforme costituzionali, che però rischiano di rimanere impantanate quando il governo dovrà affrontare una legge di Stabilità che appare sempre più complicata ogni giorno che passa. I franchi tiratori di oggi sembrano aver voluto mandare questo messaggio, ma francamente, vista la natura dei problemi, sarebbe preferibile la franchezza adottata da Cottarelli alla pavidità del voto segreto. Il trasferimento di nuove competenze al Senato delle autonomie, vista la delicatezza dei temi, appare inoltre un problema non così marginale. Il carattere non elettivo dell’assemblea si concilierebbe poco con tali competenze, e quando il testo arriverà alla Camera, sarebbe preferibile che si preferisse la razionalità del nuovo disegno costituzionale alla fretta per l’approvazione.

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